Politica

"Partiti in crisi di sistema. Ora il semipresidenzialismo"

I dubbi dell'accademico sul partito unico: "Non bastano nuovi contenitori, meglio un sistema alla francese"

"Partiti in crisi di sistema. Ora il semipresidenzialismo"

Il dibattito di questi giorni non lo appassiona: «I partiti sono in crisi, ma questa è una crisi che va oltre i partiti. È una crisi di sistema, molto più grave e molto più profonda».

Ernesto Galli della Loggia, accademico e storico, uno dei più noti intellettuali italiani, non fa sconti a nessuno.

Nel centrodestra si discute di partito unico.

«Mi pare che si ripetano sempre gli stessi giri di valzer: ci hanno già provato a suo tempo, ma i risultati sono stati deludenti».

Berlusconi evoca i Repubblicani americani. Un salto in avanti rispetto alla frammentazione di oggi?

«Direi di no. I Repubblicani sono l'espressione dell'America e della sua storia. Non è che si possa trapiantare un partito in questo modo».

Ma un contenitore solo avrebbe più probabilità di successo.

«Anche questo è un luogo comune smentito spesso dai fatti: la somma di tre partiti vale il più delle volte meno di quello che ciascuno di essi è in grado di raccogliere sul mercato dei voti. In ogni caso non si fanno i partiti per vincere, ma se coagulano idee e progetti per la società».

Le formazioni di oggi?

«Lo accennavo prima: il sistema è in grande difficoltà e questa fragilità non risparmia nessuno: destra, sinistra, 5 stelle. Ci sono segnali precisi di questa deriva».

Uno per tutti?

«Siamo in una democrazia parlamentare ma gli ultimi premier arrivano da altri circuiti. Sono entrati nel Palazzo senza passare dal parlamento, anzi Conte era sconosciuto all'opinione pubblica. Le sembra possibile? E mi pare si debba sottolineare un'altra anomalia o bizzarria, la chiami come vuole: Conte ha guidato un governo con la Lega e poi uno di segno opposto con il Pd. Ma le sembra normale?».

Con Draghi potrebbe cambiare qualcosa?

«Draghi non nasce nel recinto tradizionale, ha una forte competenza in economia, ha 200 miliardi da spendere. Sono tre elementi che lo rendono una figura particolare, un unicum».

Forse proprio per questo il premier porterà a casa quelle riforme di cui si parla a vuoto da molti anni.

«Speriamo che faccia bene. I partiti non sono stati in grado di mettere mano alle riforme che pure erano necessarie e attese. Prenda la giustizia: gli assetti sono sempre gli stessi, i problemi sempre irrisolti. Così per altri settori strategici. Si discute, si istituisce una Commissione, si fa un po' di fumo, poi si torna al punto di partenza».

Ottimista, professore al grande gioco dell'oca.

«No, realista. E la mia critica è ancora più radicale: fatico, fatico molto a vedere differenze fra le politiche del centrosinistra e quelle del centrodestra. Se dovessi mettere in fila tre punti qualificanti nell'azione dei governi degli ultimi vent'anni, prima di un colore e poi dell'altro, non riuscirei a trovarli. Tutti uguali e tutti a coprire, con la complicità dei giornali e delle tv, il loro vuoto».

A proposito di Draghi non mi ha risposto: se avrà successo costringerà il sistema a darsi una mossa?

«Non credo».

Lui è la safety car.

«Ma se in questi mesi dovesse trasformarsi in Hamilton, i partiti probabilmente cercherebbero di eliminarlo».

Addio Quirinale?

«Certo, non manderebbero al Quirinale uno che mostra impietosamente i loro limiti».

Come se ne esce?

«Non bastano nuovi contenitori o nuove leggi elettorali. La strada giusta è quella che passa per la modifica della seconda parte della Costituzione e la ridefinizione dei meccanismi di governo del Paese. Un sistema semipresidenziale, alla francese, potrebbe dare la scossa che oggi non arriva. Si innescherebbe un meccanismo diverso, con la comparsa di nuovi soggetti e leadership. Ma anche su questo versante è stato tutto un susseguirsi di commissioni che hanno prodotto quintali di carte, ma non hanno portato a nulla. Anzi, tutti quei lavori sono ignorati dall'opinione pubblica.

Però è quella la strada: le scorciatoie non vanno da nessuna parte».

Commenti