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Il Pd alle comiche finali denuncia i giornalisti del No

Ricorso all'Agcom per violazione della par condicio: va conteggiato anche il tempo in tv degli opinionisti

Il Pd alle comiche finali denuncia i giornalisti del No

Il Pd si scaglia contro i giornalisti «schierati» sul referendum, quelli che violerebbero di continuo la par condicio. Vedi Marco Travaglio, dichiaratamente per il No, o anche Andrea Scanzi, uno degli editorialisti del Fatto Quotidiano. Per i Dem sarebbero entrambi da censurare per i loro interventi al di fuori delle regole. Invece continuano a imperversare in Tv o sui giornali con le loro idee contrarie alla modifica della Costituzione, mentre il comitato per il Sì, nonostante le 500mila firme raccolte, procede ai sorteggi per gli spazi di tribuna elettorale.

Per evitare tutto questo il Pd e il comitato «Basta un sì» hanno assoldato un pool di avvocati con l'intenzione di presentare un ricorso all'Agcom denunciando appunto la violazione della par condicio. La tesi è che i giornalisti manifestatamente esposti per il No devono rispettare la suddivisione degli spazi Tv concessi ai due schieramenti, come prevede la norma. L'uomo Rai del Pd, Michele Anzaldi, affronterà il problema in Commissione vigilanza. «Voglio capire - dice - se c'è una violazione della legge e se, per esempio, Travaglio ha finito il suo tempo a disposizione. Il comitato del No lo sa che la posizione contro la riforma viene rappresentata da lui? Zagrebelsky lo sa? E D'Alema è disponibile a lasciare la tribuna sempre a Travaglio? La verità è che questa legge è finita nel cassetto». Nessuna censura, per l'esponente dem si tratta soltanto di una questione di giustizia. «Ci sono giornalisti che non fanno i giornalisti, ma rappresentano il comitato per il No. Come Travaglio che si è apertamente schierato e prende anche i soldi per metterci la faccia». Nulla in contrario, per Anzaldi, a patto che il suo tempo, come quello di tutti gli altri, compresi i colleghi che sostengono il Sì al referendum, venga «conteggiato» a norma di par condicio.

Il direttore del Fatto risponde con ironia. «Sono favorevolissimo - dice - è cosa buona e giusta che il presidente del Consiglio parli da solo in tutte le reti e in tutti i Tg di Rai, Mediaset e Sky, con uno stuolo di impiegati con la lingua ai suoi piedi. Come peraltro già avviene nei nove decimi della carta stampata. Io anzi lo renderei obbligatorio. Così magari finalmente la gente si sveglia e capisce qual è la democrazia che il premier ha in mente».

Nella polemica interviene anche Clemente Mimun. Per il direttore del Tg5 la legge sulla par condicio, di cui si torna a parlare ad ogni elezione importante, «è una follia». «Ci sono mille modi di aggirarla, è umiliante per tutta la categoria», sostiene. Mimun fa il paragone con gli Stati Uniti, dove «ci si comporta come si vuole». «La par condicio - aggiunge - è un po' come quel vecchio adagio: si applica con gli amici, la si interpreta per i nemici.

Allora che facciamo, ci mettiamo a conteggiare anche i cantanti e i calciatori? Ora basta che si dica un sì e un no e si viene schedati».

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