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Il Pd è già macroniano Centrodestra obbligato a presentarsi unito

Renzi cavalca la sconfitta populista. E usa la Le Pen per etichettare Grillo come perdente

Il Pd è già macroniano Centrodestra obbligato a presentarsi unito

M atteo il Furbo gioca a fare il «rosicone», l’altro rosica sul serio. La differenza sembrerebbe tutta qui. O forse no, considerato che il leader leghistaMatteo Salvini la sconfitta di Marine Le Pen l’aveva messa nel conto (e scrive suFacebook: «GrazieMarine Le Pen, chi lotta non perde mai»). Così come GiorgiaMeloni («Ha vinto la paura del cambiamento») e persino Francesco Storace, che ancora ieri a ballottaggio deciso, orgogliosamente (fascisticamente) rivendicava di sentirsi «mai come ora fratello italiano» della Le Pen, ben distinto e distante da quel Macron dei «poteri forti». Eppure il punto della scommessa perdente sul nero lepenniano non stava affatto qui. Piuttosto, lo ribadiva il vicesegretario leghista Fontana, nel «superamento dello schema tradizionale centrodestra-centrosinistra: questa la rivoluzione della Le Pen».

È per questo che il «dolce affievolirsi» del fuoco lepenniano e sovranista di casa nostra, apre prospettive del tutto nuove: dalla sconfitta emergendo chiaramente come sia indispensabile l’unità dell’intero centrodestra. Non a caso il Cavaliere aveva già preso le distanze da entrambi i contendenti d’Oltralpe: una lontana dai valori, l’altro dalla cultura liberale. Sfumatura che recepisce il più «macroniano» degli azzurri, Renato Brunetta, traendone la lezione unitaria: «Si vince al centro». È il cuneo sul quale si fonderà da domani l’azione del centrodestra. Anche in considerazione dell’altolà che Berlusconi ha posto a un fronte «anti-Grillo» che aiuterebbe il Pd a risolvere le sue (tante) grane.

E difatti, argutamente, i grillini non sono caduti nel tranello di una scelta di campo. «Sia Macron che Le Pen sono candidati lontani da noi, nessuno porta avanti le nostre battaglie», ribadiva Luigi Di Maio nel pomeriggio in tivù. Così che il populismo di Beppe Grillo poteva legittimamente (di sicuro un po’ troppofrettolosamente) dichiararsi «prima forza politica del Paese e speriamo tra dieci mesi anche al governo; chiunque vinca in Francia sarà nostro interlocutore», esagerava Di Maio. Cercare di intestarsi la vittoria macroniana era invece smaccatamente l’obiettivo di un Matteo rosicone per finta, Renzi. «Io rosico nel vedere il ballottaggio di questa sera, perché Macron ci va con il 23 per cento e noi siamo a casa con il 41 per cento». Arzigogolo pindarico per avvicinare dati e prospettive del tutto differenti.

E superare di slancio un paio di dettagli non indifferenti: che Macron ha vinto proprio in quanto uscito polemicamente dal partito hollandiano gemello del Pd; che la sua vittoria è stata agevolata dal voto «utile» contro la pericolosa fascista Le Pen. Fronte «unitario» che Renzi vorrebbe perseguire anche in Italia, calcando sull’impossibile paragone Macron-Le Pen e sottintendendo che anche i Cinquestelle andrebbero fermati allo stesso modo (lo dichiarava meno velatamente il capogruppo alla Camera, Ettore Rosato). Ma all’entusiastico tweet del fantasmatico premier Gentiloni («Una speranza si aggira per l’Europa»), ai tanti sospiri di sollievo di una sinistra spaccata nel dilemma tra restare a casa o andare a votare il banchiere delle politiche che «producono i Le Pen», si opponeva forse soltanto la piccola (grande) verità del cattolico Riccardi. «Macron non è piovuto dal cielo, è frutto di una classe dirigente selezionata. Ma in Italia un’ente come l’Ena non c’è».

Ce n’eravamo accorti.

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