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Il Pd litiga, Gentiloni trema È guerra su conti e riforme

Sul tavolo manovra e referendum Cgil sul Jobs Act La sinistra avvisa il premier: «Non ti fidare di Renzi

Il Pd litiga, Gentiloni trema È guerra su conti e riforme

Quando il famoso Colosso crollò rovinosamente su case e cittadini, racconta Platone nel Filebo, gli abitanti di Rodi insorsero contro l'idea del loro sovrano di ricostruirlo, coniando una massima imperitura. Così la riporta l'oratore Iperide: «Non muovere un male che sta tranquillo» («mè kineìn kakòn eu keìmenon»).

L'iscrizione, tradotta in italiano o anche in greco antico, ben più suggestivo, farebbe la sua figura sul portone di Palazzo Chigi. Se con Renzi sarebbe stato un giusto invito alla prudenza, con il premier Gentiloni è diventato qualcosa di più: un appello alla sopravvivenza. Del governo, della legislatura, forse persino di un sistema economico vacillante e assediato. Il crollo del Pd, inevitabile conseguenza di quello del suo Colosso, non manca di scaricare molte delle sue energie negative sulla tenuta governativa. «Gentiloni deve avere paura di Renzi e del suo atteggiamento ambiguo, non di Speranza - diceva ieri quest'ultimo al Sky Tg24, parlando di sé in terza persona - Speranza non farà mancare il suo sostegno a Gentiloni». Quasi un avvertimento, da indiano a indiano. Reso intellegibile nelle argomentazioni, nella combattività preannunciata da Mdp nel «provare a spostare un asse di questo governo sulle questioni sociali: dalla grande questione del lavoro alla scuola, alle questioni ambientali». Di rimbalzo, da Rainews, il leader della Fiom, Landini, forniva un quadro chiaro della dinamica in atto. «Renzi ha perso il referendum e si è dimesso: ha capito che la maggioranza del Paese non era d'accordo con le politiche che faceva». La questione quindi è cambiare strada, perché «se Gentiloni prosegue la politica dell'esecutivo Renzi il rischio è che vadano a sbattere in due». Gli snodi centrali, per Landini, del mutamento di direzione sta nelle modifiche del Jobs Act, della legge Fornero sulle pensioni, nella chiusura favorevole del contratto per i dipendenti pubblici. Va da sé che già il solo tema della cancellazione dei voucher e di parte del Jobs Act minerebbe fortemente la stabilità di un governo clonato su quello precedente. Ministri dovranno smentire se stessi. A questo, per soprammercato, si possono aggiungere il decreto sicurezza, quello sull'immigrazione (e persino lo spauracchio dello ius soli agitato strumentalmente da Orfini).

Senonché, la partita cruciale, il governo la sta giocando in Europa, con la manovrina (si fa per dire) da 3,4 miliardi di euro attesa per fine aprile che - a detta di Renzi e di un manipolo di agguerriti suoi fedelissimi in Parlamento - non dovrebbe contenere tasse. La preoccupazione degli ambienti europei è tangibile, e si trasmette palesemente sul nostro ministero, il cui titolare Padoan ha dovuto smentire ieri le voci di possibili «dimissioni se il governo non riparte con una strategia di riforme incisive». Sono proprio i termini utilizzati nella ricostruzione giornalistica, i virgolettati, a far temere la prima avvisaglia di un barbecue renziano in accensione sotto la poltrona di Gentiloni. Retroscena «assurdo», frasi virgolettate «frutto di fantasia», recita la smentita del ministro. Ma il quadro è talmente fluido, le sabbie tanto mobili, da far pensare che la maggioranza Pd-Dp-Ncd faticherà persino a metter mano alla legge elettorale, mentre Gentiloni si guarderà bene da intervenire (l'aveva preannunciato: è materia parlamentare).

Quietum non move lutum, aggiornarono il motto i latini.

Dal «male» si era ormai passati direttamente al «fango».

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