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Pd-M5S al 63% alle Camere con i peones senza pensione

La strana maggioranza trasversale: il 100% dei grillini e il 64% dei dem avranno il vitalizio se si rinvia il voto

Pd-M5S al 63% alle Camere con i peones senza pensione

Sono una maggioranza bulgara. Una maggioranza trasversale, che dal Pd arriva al M5S. Una maggioranza che, altro che alchimie varie sulle possibili leggi elettorali, sarebbe premiata da qualsiasi sistema, Mattarellum, Consultellum o Italicum corretto che sia, visto che ha già il 63% sia alla Camera sia al Senato. L'unico problema è che non è propriamente un partito: a conquistare il primato infatti è il gruppo dei «peones», i nuovi in Parlamento, gli onorevoli che per ottenere il vitalizio devono sperare che il voto slitti il più possibile, almeno sino a quando la legislatura avrà toccato i fatidici 4 anni sei mesi e un giorno stabiliti dall'ultima riforma, alla fine del 2011. Quorum che per 219 onorevoli si raggiunge il prossimo 13 settembre.

Una maxi-coalizione. Il M5S fa l'en plein, con il 100% di deputati (91) e senatori (35) debuttanti; il Pd al secondo posto col 64%, (195 deputati e 73 senatori). A fare i calcoli Openpolis, che in un dossier dello scorso 2 febbraio su chi non ha ancora maturato la pensione da parlamentare ha scoperto, appunto, questo partitone trasversale a maggioranza Pd-M5S: i deputati in tutto sono 402, i senatori 193. Totale: ben 595 parlamentari, pari appunto, più o meno, al 63% degli eletti. Grillini e Dem sono i più numerosi. Ma nel gruppo pensionandi ci sono anche molti onorevoli di Misto, Sinistra italiana, Civici e innovatori, Centro democratico. Fanalino di coda Forza Italia, che il voto subito non lo vuole, che ha appena il 14% di pensionandi alla Camera e il 33% al Senato.

Volessero coalizzarsi in unico partito e darsi un nome gli ancora senza pensione potrebbero chiamarsi «La casta». E spieghiamo perché. Il vitalizio propriamente detto, quello che ha portato fior di rendite a vita a ex onorevoli in carica anche per un solo giorno, non esiste più. L'ultima riforma, regnante Monti a Palazzo Chigi, ha deciso che l'assegno va calcolato su base contributiva. Ergo i nuovi parlamentari dell'attuale legislatura, la numero XVII, prenderanno un vitalizio di circa 500 euro netti al mese dopo il compimento dei 65 anni, tra qualche decennio. E così proprio gli aspiranti al vitalizio, nel dibattito politico sulle prossime elezioni, sono diventati il simbolo del male, il rigurgito della vecchia casta che vuol mantenere i privilegi. «Rimandano il voto per favorire chi deve prendere il vitalizio», accusano da mesi i Cinque stelle, omettendo di dire che i primi a godere del beneficio sarebbero proprio i pentastellati. E il dagli al vitalizio simbolo della casta - quasi un surrogato del Cnel poi graziato dal referendum del 4 dicembre - è piaciuto anche al segretario Pd Matteo Renzi, che qualche giorno fa in diretta tv, a Giovanni Floris che l'ha mostrato durante la sua trasmissione Di martedì, ha mandato un sms che ha scatenato un putiferio: «Per me - ha scritto l'ex premier - votare nel 2017 o nel 2018 è lo stesso. L'unica cosa è evitare che scattino i vitalizi, perché sarebbe molto ingiusto verso i cittadini. Sarebbe assurdo».

L'uscita in stile grillino di Matteo per perorare la causa del voto a giugno non è piaciuta al Pd. A cominciare proprio dai renziani, la pattuglia più nutrita di peones dem. In 17 gli hanno scritto una lettera di protesta. Altri, come la ventinovenne deputata Pd umbra Anna Ascani, si sono sfogati sui social: «Cancelliamo tutto domani ma liberiamo il dibattito pubblico da questa str...». Comunque, per far saltare questa maggioranza trasversale, servirebbe poco: una delibera degli uffici di presidenza di Camera e Senato, dove Pd e M5S hanno i numeri. Certo, poi dovrebbero renderne conto ai propri pensionandi.

Ma questa è un'altra storia.

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