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Il Pd sparisce dai manifesti: i suoi candidati si vergognano

Niente simbolo dem per le Comunali. È la stessa scelta che portò all'insuccesso la Moretti in Veneto

Il Pd sparisce dai manifesti: i suoi candidati si vergognano

Roma - «Roma torna Roma. Giachetti sindaco». «Piero Fassino sindaco. Per amore di Torino». «Questa è la Bologna che mi piace. Merola sindaco». «Milano, ogni giorno ogni ora. Beppe Sala sindaco». «Cuore e coraggio. Valeria Valente sindaco».

Il Partito democratico nei suoi cartelloni elettorali 6x3 per le Amministrative vara la comunicazione «no logo». E il simbolo del partito sotto i faccioni dei candidati sparisce completamente dalle affissioni, senza neppure un piccolo memento sulla provenienza politica dei prescelti, senza una bussola per orientare i più disattenti. Ci sono i sorrisi aperti di Piero Fassino e Virginio Merola. Lo sguardo rivolto verso l'alto e la ripresa dal basso per enfatizzare la credibilità del soggetto, creando il cosiddetto «effetto monumento» per Roberto Giachetti. Il sorriso abbozzato e la camicia e cravatta per il manager Beppe Sala. E sempre in tema di abbigliamento le varie declinazioni visive del «candidato» non prevedono mai la giacca e la cravatta, evidentemente un codice ormai bandito nella propaganda visiva dell'era renziana (così come manca un grande classico degli ultimi anni: quello del politico con giacca sulla spalla, come nelle sfilate d'annata). Il candidato, insomma, deve essere sportivo e a portata di mano, vicino ai cittadini.

Le spiegazioni e le interpretazioni che fioriscono sul web si orientano verso la tesi più tagliente: i candidati si vergognano del Pd, o forse è il Pd stesso ad autocensurarsi. Sono soprattutto i simpatizzanti grillini ad armare i cannoni dialettici. Nel mirino finisce la scelta romana, dove è più che mai necessario liberarsi dal fardello e l'eredità politica di Mafia Capitale. Altri, invece, leggono la circostanza come la dimostrazione che i partiti tradizionali sono in via di estinzione, non più adeguati ai tempi, privi di appeal. E così chi si occupa di comunicazione politica si è già adeguato. Ci sono anche motivazioni «tecniche» che potrebbero suggerire questa scelta. Solitamente quando la situazione è ancora mobile e si conta di poter stringere alleanze con partiti minori e liste civiche si procede a una prima tornata di affissioni senza simboli di partito - come una sorta di galateo della speranza - per poi procedere alla seconda ondata quando il quadro è definito. È altrettanto vero, però, che siamo ormai entrati quasi nell'ultimo giro e mancano davvero pochi giorni alla chiusura delle liste e altri candidati - come ad esempio Guido Bertolaso - hanno provveduto a mettere il simbolo del partito sulle loro affissioni. La cancellazione del logo Pd aveva già fatto discutere nelle ultime Regionali quando Alessandra Moretti, candidata in Veneto, adottò la stessa tattica affidandosi a cartelloni con prevalenza di bianco e di blu. Una campagna elettorale senza bandiera che non venne premiata dal successo.

Se i cartelloni dei candidati «depidizzati» fanno discutere, polemiche di altro tipo a Bologna nascono per i manifesti della capolista Pd, Giulia Di Girolamo. Il motivo? I primi manifesti, infatti, ricordavano le «elezioni amministrative 5-6 giugno». Peccato che si voti solo domenica 5 giugno.

Una gaffe di cui il Pd locale si è scusato postando, autoironicamente, un video con l'allenatore della Juve Massimiliano Allegri, infuriato con i suoi giocatori in occasione di Carpi-Juve.

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