Cronache

"Perché ho sparato al ladro"

Il pensionato-simbolo: "Avere un'arma dev'essere un diritto, io non dormo più"

"Perché ho sparato al ladro"

«La sera mia moglie prende tranquillanti e poi si assopisce. Ha paura a uscire dalla nostra stanza: quando deve andare in bagno e infilare la porta che si trova esattamente davanti a quella della camera da letto, la devo accompagnare. Io? Ho deciso che non posso più addormentarmi la notte: devo vegliare su di lei, sulla nostra sicurezza, su quella della mia famiglia. E intanto penso... La notte è lunghissima, sa? Non finisce mai. Penso a quello che è successo: togliere la vita a un uomo non è qualcosa che si fa a cuor leggero. E chi mi ha dipinto come uno sceriffo dal grilletto facile è perché ha il lusso di non sapere - mi auguro di non provare mai - quel che si sente in quegli attimi che hanno cambiato per sempre tutto nella mia. Quindi penso soprattutto che ci vorrebbe davvero poco affinché le cose, in questo Paese, andassero meglio, soprattutto con gli immigrati che delinquono, ma anche con i profughi che hanno fame. Lo capisce anche una persona che ha fatto la terza avviamento come me, le soluzioni ci sono e, in molti casi, non ci costerebbero nulla. Peccato che i nostri politici vivano sulle nuvole e sappiano bene solo come complicarci la vita».

Nella cucina della mansarda al terzo piano di via Cagnola 19, dove esattamente una settimana fa, nella notte tra il 19 e il 20 ottobre, Francesco Sicignano ha sparato e ucciso un ladro albanese 22enne, l'atmosfera casalinga, quella di ogni giorno, sembra aver ripreso il sopravvento. Ci vuole poco, però, a capire che non è così. E i Sicignano ne sono ben consci. Francesco, 66 anni, la moglie 65enne Giovanna e uno dei due figli, Ivano, 40 anni - residente al pianterreno con la moglie e il figlio 13enne - sanno bene che la normalità quotidiana sarà un bene arduo da riacquistare. La donna ha gli occhi azzurri rossi di pianto, non si dà pace. Ivano parla per tentare di sdrammatizzare. Lui, il pensionato «sceriffo», ha l'aria severa ma anche un po' sorniona di chi ne ha passate troppe nella vita per mollare proprio adesso che i suoi hanno più bisogno di lui. Ora, però, oltre che di «stupro», parla anche di «terrorismo psicologico».

Lei sostiene di avere dalla sua parte la forza della verità.

«Certo. E la verità verrà fuori, sa? Quando chiuderanno le indagini potrò essere più esplicito. La dice lunga però il fatto che vengo sostenuto anche dal 75 per cento degli spettatori di Sky, che non è certo una rete di sinistra. Il proiettile che ho esploso, l'unico sparato quella notte, i carabinieri lo hanno trovato lì, vicino al divano dov'è seduta lei adesso. Se avessi voluto avrei potuto sparare anche agli altri due complici. Erano a pochi metri di distanza, giù in giardino. Ma ho sparato in aria, per farli allontanare. Non c'era volontà di uccidere, non c'era nemmeno contro quel tipo che ho trovato nella mia cucina, naturalmente, a due passi dalla camera da letto, da mia moglie. È entrato dalla finestra che dà sul piano cottura, ha fatto cadere una moka per il caffè. Mi sono svegliato, ho svegliato mia moglie».

E poi?

«Ho visto solo una sagoma che si muoveva e una piccola torcia. Nient'altro. Non gli ho visto nemmeno le mani. Era una sera senza luna, qui come vede i locali sono bassi».

Lei era pronto, dirà qualcuno.

«Dal 2008, dopo che avevano scippato mia madre per strada e, più avanti, sempre quell'anno, erano entrati qui sotto, nel suo appartamento, portando via 400 euro e gioielli, dormivo con la pistola sul comodino. L'arma ce l'avevo dal '94 quando uno slavo aveva assalito il negozio di strumenti musicali che io e mio fratello gestivamo qui a Vaprio e mi aveva puntato un'arma in faccia, ma la custodivo sotto chiave. Dopo i fatti accaduti a mia madre l'ho messa sul comodino. Dopo quanto accaduto il giovedì prima di questa brutta storia, il 15 ottobre, l'ho messa sotto il cuscino».

Cos'è accaduto il 15 ottobre?

«Intorno alle 20, quando in casa non c'era nessuno, il mio dirimpettaio ha visto tre ladri che, dopo aver scassinato la porta dell'appartamento al piano rialzato (quello dove abitava sua madre, morta in agosto, ndr ) erano entrati in casa. Lì non c'è niente e se n'erano andati. Ma io avevo paura. Tra l'altro sono convinto, dalla descrizione del mio vicino, che fossero gli stessi».

Visto che non può parlarci dell'accaduto in senso stretto, ci dica cosa pensa la notte.

«Ad esempio che, se accusano me di omicidio volontario, la ragazza romena che ha “coperto” il fidanzato albanese e irregolare che purtroppo ho ucciso, ora dovrebbe essere accusata di favoreggiamento dell'immigrazione. Poi rifletto sul fatto che i profughi o anche i clandestini non dovrebbero essere tenuti in quelle specie di gabbie per polli che sono i centri di accoglienza, ma nelle caserme vuote: ce ne sono tante! E alimentati con tutta la roba ancora buona che scartano i supermercati ogni giorno. Riusciremmo addirittura a dar loro l'autogestione e sarebbe tutto a costo zero. E poi penso al diritto alla proprietà, alla sicurezza della propria famiglia: ci vorrebbe una legge che tutelasse la legittima difesa e che permettesse, a chi lo desidera, di tenere un'arma in casa. Chi non ha dimestichezza con le armi a quel punto dovrebbe essere istruito. Sa quante persone m'incontrano, mi ringraziano e mi dicono “Ha fatto bene” oppure “Avrei agito come lei”. Troppe.

Perché c'è troppa gente che ha paura».

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