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Perché l'intesa libica non funzionerà

Unità solo a parole, le divisioni sono ovunque. Domani incontro decisivo in Marocco per il governo

Perché l'intesa libica non funzionerà

Domani i rappresentanti dei due Parlamenti rivali di Tripoli e Tobruk dovrebbero incontrarsi in Marocco per firmare l'accordo sul nuovo governo di unità nazionale sponsorizzato dall'Onu. L'annuncio della panacea ai mali della Libia è scaturito dalla conferenza internazionale di domenica a Roma.

I primi a volere far saltare l'intesa, non solo in senso metaforico, sono i terroristi dello Stato islamico, che stanno avanzando verso i pozzi di petrolio nell'entroterra di Sirte. La comunità internazionale, a cominciare dall'Italia, ha sbandierato il mantra del governo di unità nazionale come una foglia di fico per nascondere l'incertezza sulla missione militare in Libia per sradicare le bandiere nere. Anche gli altri gruppi libici del terrore legati ad Al Qaida e alla formazione radicale Ansar al Sharia considerano l'accordo lettera morta.

Se è inevitabile che gli estremisti attacchino l'intesa suonano ancora peggio i no che arrivano da Tripoli, dove dovrebbero insediarsi, fra 40 giorni, il nuovo governo e il parlamento. Il primo a non crederci è il generale Abdel Rahman al Sahwili, che fa parte del Congresso della capitale libica, l'assemblea non riconosciuta dalla comunità internazionale, parte cruciale per il successo dell'accordo. Proprio lui che era stato indicato come futuro «presidente» dalle alchimie dell'Onu ha dichiarato che si stanno accelerando «i tempi per imporre un'intesa che non vogliamo: in questo modo impediscono la riconciliazione».

Il Parlamento di Tripoli è dominato dai Fratelli musulmani, che rispondono ai loro padrini in Turchia e Qatar. Nessuna dichiarazione definitiva, ma pure un altro deputato influente, Abdel Qader al Hawili, sostiene che «alcune parti internazionali vorrebbero decidere al posto dei libici e per questo hanno convocato la conferenza internazionale di Roma».

Misurata, che dispone di una delle milizie più forti della Libia, sembra favorevole all'accordo. Ieri, però, il Consiglio degli ulema e dei saggi della città stato ha accettato «l'ipotesi di governo di riconciliazione nazionale» a patto che vengano rispettate le «richieste avanzate da Tripoli». Una specie di gioco dell'oca, che si complica con i nuovi scontri fra i miliziani di Tripoli e Misurata scoppiati nelle ultime ore a Tagiura, alle porte della capitale, per il controllo del territorio.

Dall'altra parte della barricata il Parlamento e governo di Tobruk, rivali di Tripoli, ma riconosciuti dalla comunità internazionale dovrebbero accettare a braccia aperte l'accordo. In realtà non è così. Una delle incognite è il destino del generale Khalifa Haftar, comandante dell'esercito libico che puntella Tobruk, ma bollato come criminale di guerra da Tripoli. L'accordo prevede anche un cessate il fuoco, che al momento sembra una chimera. L'insediamento a Tripoli potrebbe realisticamente avvenire in sicurezza solo con l'appoggio di truppe internazionali. Il sistema del voto all'unanimità fra il premier e i suoi tre vice rischia di ostacolare i primi passi del nuovo governo.

Uno di questi dovrebbe essere la richiesta all'Onu di truppe guidate dall'Italia per cancellare le bandiere nere dalla Libia.

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