Cronache

Persi i mondiali. Anche la Rai ha la sua Corea

Persi i mondiali. Anche la Rai ha la sua Corea

A poco più di 50 anni dall'eliminazione dell'Italia di Fabbri, è arrivata anche per la Rai una nuova Corea del Nord perché, a Russia 2018, ha perso per la prima volta l'esclusiva dei mondiali di calcio. A segnare il gol vincente, il nuovo Pak Doo-Ik della situazione, è stata Mediaset con un'offerta di 78 milioni, anche se il costo reale sarà tra 40 e 45 milioni. Giustamente orgoglioso Pier Silvio Berlusconi: «Abbiamo fatto un servizio per il pubblico che ha superato il servizio pubblico». In effetti, il cavallo di viale Mazzini è stato messo davvero in ginocchio e il cda Rai, di cui faccio parte, ha dovuto prendere atto che un rilancio su Mediaset si sarebbe tradotto in un «rosso», a fine anno, di 60 milioni: troppi con i tempi che corrono. E, quindi, tanto di cappello al Biscione che ha rifilato un clamoroso uno-due al colosso dai piedi d'argilla.

Adesso, noi della Rai, possiamo costruirci tutti gli alibi che vogliamo: dire, ad esempio, che la prossima edizione che andrà in onda a Mosca e dintorni sarà, in parte, snobbata dai tifosi per colpa di quel Ventura che ha clamorosamente fallito l'obiettivo delle finali per gli azzurri. Potremo anche sostenere che, per rifarsi, l'azienda di Stato otterrà i diritti per trasmettere la Champions League. Sono tutte argomentazioni che hanno una logica, ma come non dare ragione ai giornalisti di Saxa Rubra che parlano di «fatto gravissimo»? E, questa volta, non ha tutti i torti neppure il grande fustigatore, Michele Anzaldi (Pd), quando osserva che la Rai non può abdicare in questo modo: quale servizio pubblico è se non riesce neppure a garantire, una volta ogni quattro anni, la diretta ai mondiali di calcio?

Se a tutto ciò aggiungiamo che la Rai non trasmetterà neppure alcuna diretta della Formula Uno, c'è davvero da interrogarsi sul suo futuro. Forse ingenuamente, pensavo che, inserendo il canone tv nella bolletta elettrica, la Rai avrebbe risolto molti dei suoi problemi. Così non è stato e la Rai rischia ora di chiudere i bilanci con passivi sempre più preoccupanti. Urge, quindi, cambiare rotta, a cominciare da certi contratti faraonici: non è un caso che Anzaldi abbia tirato di nuovo in ballo l'ingaggio astronomico di Fabio Fazio con ritorni (leggi: «share» in calo) piuttosto deludenti.

Dopo la Corea di Fabbri del 1966, ci fu il Messico di Valcareggi del 1970 dove arrivammo secondi dopo il Brasile: speriamo che, presto, sarà la volta buona per gli azzurri ma anche per la Rai. Il primo banco di prova, per viale Mazzini, saranno le prossime elezioni politiche: il servizio pubblico riuscirà a garantire il pluralismo dell'informazione?

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