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Pestare un leghista non è reato

Sono passati quasi dieci anni, ma l'indagine sulla brutale aggressione a Borghezio è svanita nel nulla. Sparita. Archiviata ala chetichella. Manco fosse clandestina

Pestare un leghista non è reato

Il pestaggio. Il tentativo di buttarlo giù dal treno. Il ricovero all'ospedale di Chivasso e l'operazione al naso. Sono passati quasi dieci anni, ma l'indagine su quella brutale aggressione è svanita nel nulla. Sparita. Archiviata ala chetichella. Manco fosse clandestina. Mario Borghezio, volto noto e europarlamentare della Lega, allarga sconsolato le braccia: «Da tempo, o meglio da anni, aspettavo un confronto con i facinorosi che mi avevano riempito di schiaffi e botte, ma la procura non mi ha mai convocato, così il mio avvocato, Mauro Anetrini, ha chiesto spiegazioni e ha scoperto l'incredibile: gli hanno detto che il fascicolo è stato spedito in cantina. Addirittura nel 2008». Pare uno scherzo. Borghezio, invece è furente: «Vuol dire che la giustizia non è uguale per tutti, vuol dire che per alcuni è rapida come il fulmine, per altri non arriva mai».

Il deputato Ue del Carroccio piemontese viene attaccato il 17 dicembre 2005: «Dovevo andare a Milano, per un comizio, e allora ho preso il treno. Solo che sullo stesso convoglio sono saliti centinaia di No Tav di ritorno da un corteo che a un certo punto mi hanno individuato perché leggevo il Giornale . Mi hanno sequestrato e riempito di pugni, mi hanno spaccato il naso, hanno pure tentato di scaraventarmi giù dalla carrozza, e per fortuna la mia imponente mole mi ha aiutato a resistere, poi mi hanno rapinato la borsa in pelle cui ero particolarmente affezionato perché regalatami da mia sorella quando ero diventato sottosegretario alla Giustizia. Sono stato salvato dai due agenti della Polfer che mi scortavano e che mi hanno difeso con grande coraggio».

Borghezio si ritrova in ospedale. Gli aggiustano il naso, dopo qualche giorno lo rimandano a casa anche se ha problemi di equilibrio e deve superare un fortissimo choc. Dopo qualche settimana, la Digos, che ha filmato i manifestanti saliti sul treno a Porta Susa, gli mostra le immagini di molti giovani. E lui ne riconosce 11, 6-7 con assoluta certezza. La procura lo fa anche visitare dal medico legale per accertare i danni subiti. Poi più nulla. Il vuoto. Il silenzio. Nemmeno un interrogatorio davanti a un magistrato. Il 18 luglio 2013 l'europarlamentare scrive al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano: «Il fatto di non aver dato inizio - a distanza di quasi 8 anni dall'aggressione da me subita - nemmeno al primo grado del processo a carico dei miei aggressori, mi sembra una non irrilevante lesione dei miei diritti di cittadino».

Su suggerimento del Quirinale, l'europarlamentare prende ancora carta e penna e il 3 settembre 2013 si rivolge anche alla procura generale segnalando «un caso eclatante di buonismo giudiziario che si è concretato e continua a concretarsi nella mancata celebrazione - dopo quasi 8 anni dai fatti - del processo di primo grado nei confronti dei violenti autori No Tav della ben nota aggressione perpetrata sul treno».

Ancora una volta non succede niente. Nessuno risponde. Nessuno chiarisce. Nessuno spiega. L'indagine che non c'è entra nel decimo anno. A questo punto l'avvocato Anetrini va in procura e qui gli comunicano che il fascicolo è stato archiviato nell'ormai lontano 2008. Prima degli esposti e delle lettere inviate dal parlamentare a palazzo di giustizia e al Colle. «Probabilmente - dice il penalista - in mancanza di una richiesta esplicita, la procura non era tenuta sul piano formale ad avvisare Borghezio, ma dobbiamo prima recuperare le carte e leggere con attenzione per capire cosa è successo».

E per vedere se sia possibile, sul filo della prescrizione, riaprire un caso ormai chiuso e dimenticato.

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