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Il piano di Di Maio per il voto: via al vincolo del secondo mandato

L'alleanza dovrà superare lo scoglio urne. M5S pronto a togliere il vincolo del doppio mandato per contrastare la Lega

Il piano di Di Maio per il voto: via al vincolo del secondo mandato

Mentre Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista sono "in ritiro" in Trentino per mettere a punto il futuro del Movimento 5 Stelle, il 2019 porta con sè nuovi scogli per il governo gialloverde. Non solo le contraddizioni mai risolte, come le divergenze di veduta sulle autonomie regionali o sulle grandi opere. Ma anche lo scombussolamento che potrebbero portare all'interno dell'esecutivo le elezioni Europee di maggio.

Nonostante le smentite da parte di premier, vicepremier e ministri infatti, le urne saranno per forza di cose un test importante per la tenuta di Palazzo Chigi. E soprattutto per gli equilibri dell'alleanza gialloverde. I sondaggi parlano chiaro: l'esperienza di governo sta giovando soprattutto alla Lega. Così torna prepotentemente la voce di un "piano B" del Movimento 5 Stelle per contrastare Matteo Salvini. Evitando in particolare che in caso di caduta del governo la compagine grillina venga "azzerata" dal vincolo del doppio mandato, regola cardine dello statuto pentastellato che non permette alla maggioranza dei volti noti di ricandidarsi in Parlamento.

Da mesi si parla della caduta di questo ultimo "tabù". E la regola sarebbe ora stata seriamente messa in discussione - raccontava ieri La Stampa - proprio dai vertici M5S, con l'ok a sorpresa di Beppe Grillo (ma il no di Davide Casaleggio). Soprattutto dopo il passaggio del deputato Matteo Dall'Osso tra le fila di Forza Italia e l'annuncio dell'"operazione scoiattolo" da parte di Silvio Berlusconi.

"La regola dei due mandati non è mai stata messa in discussione e non si tocca. Nè quest'anno, nè il prossimo, nè mai", assicura Luigi Di Maio, "Questo è certo come l'alternanza delle stagioni e come il fatto che certi giornalisti, come oggi, continueranno a mentire scrivendo il contrario".

Però c'è già un precedente, un cavillo che permette di svicolare: quello accaduto a fine novembre, quando una mozione di sfiducia rischiava di far cadere il governatore del Lazio, Nicola Zingaretti. Allora - racconta sempre La Stampa - il vicepremier grillino aveva chiesto ai suoi consiglieri di votare compatti la sfiducia, assicurando a tutti la ricandidatura: "Diremo che sono passati solo sette mesi dal voto, non è un mandato completo, Beppe è d' accordo", avrebbe spiegato.

Alla fine la giunta regionale è rimasta in piedi, ma il tabù sembra ormai caduto.

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