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Il piano segreto di Elly. Quota salvezza al 20%

La segretaria fa mea culpa (privato) sulla Liguria e chiede ai capicorrente di candidarsi. Le Europee il test

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«Sulla Liguria ho sbagliato tono, lo so, devo stare più attenta». Il giorno dopo il comizio di chiusura alla Festa dell'Unità, Elly Schlein fa una prima cauta autocritica. Non certo pubblica: a quattr'occhi, con pochi dirigenti di cui si fida. Ma è chiaro che stavolta la segretaria sa di aver fatto un passo falso, riaccendendo i mille fuochi delle fronde interne.

Non a caso, in quel di Ravenna, ha vestito i panni per lei insoliti del pompiere, lanciando captatio benevolentiae ai quattro angoli del partito, mandando in fretta a mente citazioni di nobili democristiani (da Moro a Mattarella) da ripetere dal palco, sia pur condite dagli immancabili richiami al solito Berlinguer e alla più recentemente scomparsa Michela Murgia. E evitando di sfiorare i temi più controversi, che han fatto crescere in queste settimane i malesseri interni: dalla guerra (limitandosi a ribadire il sostegno pieno all'Ucraina) alle spese per la difesa agli improbabili referendum anti-Jobs act di cui favoleggia Maurizio Landini. Se mai, Schlein cerca di strappare il monopolio della piazza al capo Cgil e a Giuseppe Conte, fregandoli sul tempo e annunciando una «grande manifestazione» in difesa della spesa sanitaria, in concorrenza con quella di Landini contro la Finanziaria.

Elly vuol spegnere in fretta le tensioni suscitate dalla sua sprezzante replica di sapore togliattian-staliniano («Avevano sbagliato indirizzo prima») alla fuoriuscita di 30 dirigenti liguri che denunciano il ripiegamento verso la sinistra radical-movimentista del suo Pd: non può permettersi, di qui alle elezioni europee del 2024, di dar spago alla fronda interna e di offrire ragioni a ulteriori, temuti strappi. Lì la leader dem si gioca tutto il suo futuro: sa bene che se non riuscirà a superare il 22,7% portato a casa nel 2019 da Nicola Zingaretti, la sua leadership inizierà a traballare. E che sotto la soglia psicologica del 20% (cui per ora i sondaggi inchiodano il Pd) la sua segreteria rischia di saltare per aria. I segnali già spuntano: dallo stesso Zingaretti che confida «con questa non arriviamo al 17%» al presidente del Pd Stefano Bonaccini che avverte: «Dobbiamo irrobustirci, ben oltre il 20%». Mentre Graziano Delrio ammonisce: «Nel Pd c'è disagio, Elly si faccia aiutare».

In soccorso arriva il sindaco di Firenze Nardella (pronto al salto per Bruxelles) che celebra «la strada tracciata da Elly per il Pd». Ma al Nazareno registrano con qualche preoccupazione il fatto che lo stesso Bonaccini stia sottraendosi alla richiesta di candidarsi alle Europee: «Non voglio abbandonare l'Emilia, dopo l'alluvione c'è moltissimo da fare», ha fatto sapere. Un bel problema per Schlein, che vuol osteggiare il terzo mandato dei governatori per bloccare il campano De Luca, ma difficilmente può dir di no al presidente Pd. Che, per inciso, diventerebbe automaticamente il reggente del Pd se la segretaria fosse costretta alle dimissioni.

Per «responsabilizzare» i big in vista delle Europee, Schlein ha spiegato ai suoi che «a ogni capocorrente che chiede di aver voce in capitolo sul partito chiederò: fammi vedere quanti voti hai, poi discutiamo». In pratica agli Andrea Orlando (nel Nordovest) e ai Dario Franceschini (nel Centro), ai Bonaccini e agli Zingaretti, la segretaria intima di candidarsi: i conti si faranno dopo, sulle preferenze. Una sorta di roulette russa, che inizia a seminare il panico. «Elly è ossessionata dalle Europee - fa notare un dirigente - ma prima ci sarà il voto in 4 regioni (Basilicata, Sardegna, Abruzzo e Piemonte).

Se incassiamo 4 sconfitte, il 22% non la salva».

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