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"Pillole come caramelle". Doping e morti sospette: i calciatori hanno paura

Non solo Dino Baggio, i timori anche degli ex Brambati e Raducioiu: "Cosa c'era nelle flebo?"

"Pillole come caramelle". Doping e morti sospette: i calciatori hanno paura

Il sospetto, subdolo e vigliacco, riesce a essere anche peggio del nemico che ti guarda negli occhi. Un terrorista delle certezze che logora fino a sgretolare le resistenze. Esternare le paure significa giocare a campo aperto, provare a vincere la partita con il timore. Per questo dopo le preoccupazioni di Dino Baggio («Prendevamo tanti farmaci, diteci se erano pericolosi»), altri ex calciatori scelgono di andare all'attacco. Massimo Brambati, ex di Torino e Bari («Prima della partita prendevo Microren come se fossero caramelle, ho paura anche io») e Florin Raducioiu, già di Juventus, Milan, Verona («Facevo flebo, prendevo medicine: cosa c'era dentro?»).

I sospetti di Baggio, Brambati e Raduciou sono quelli che già Massimo Mattolini, alla Fiorentina dal '73 al '77, espresse in Procura a Torino al giudice Raffaele Guariniello: troppi morti tra i suoi ex compagni in Viola, troppi i timori che qualcosa potesse ancora accadere. E come gli sarebbe accaduto nel 2009, quando rimase vittima di un'insufficienza renale però non dimostrata correlabile all'uso del Cortex, durante gli anni in attività. Tanti capitoli, nessuno esaustivo. Dalla morte dell'ex Fiorentina, Bruno Beatrice, a 39 anni nel 1987 per leucemia, fino all'inchiesta della Procura di Firenze sulla terapia a raggi Roentgen a cui fu sottoposto per pubalgia.

Ma poi anche Nello Saltutti, morto a 56 anni nel 2003 di infarto, lui che ebbe a dire «nello spogliatoio ci davano un caffè speciale, flaconi delle pillole, gocce, flebo modello damigiane e punture». O Ugo Ferrante, scomparso nel 2004 a 59 anni. Fino a Giancarlo Galdiolo, morto nel 2018 a 69 anni per malattia neurodegenerativa. E poi tanti incidenti guai di salute: Giancarlo Antognoni (infarto), Mimmo Caso (tumore), Giancarlo De Sisti (ascesso frontale al cervello). Oppure Pino Longoni (stroncato da vasculopatia cardiaca) e le accuse al Micoren. Come Longoni, dalla Fiorentina al Como ci passò anche Stefano Borgonovo. Proprio l'erba dello stadio Sinigaglia negli scorsi anni è stata innaffiata da sospetti e lacrime: quelle versate per Adriano Lombardi, morto il 30 novembre 2007, stroncato dalla Sla. E quelle per Maurizio Gabbana, Celestino Meroni (fratello del granata Gigi), Albano Canazza e Piergiorgio Corno. O Andrea Fortunato, morto di leucemia.

Guariniello spedì i suoi ispettori a prelevare funghicidi, anche per sbugiardare le ipotesi sui presunti materiali tossici provenienti dalle fonderie di Dongo e presenti nel terreno. «Avete presente quell'odore che si respirava entrando sui campi?», spiegava proprio Dino Baggio nelle scorse ore, raccontando i suoi anni di attività. Un altro dado tirato sul tavolo dei perché senza risposta, un gioco dell'oca in cui ci si ritrova al punto di partenza. Sospetti destinati a restare latenti sino al giro successivo. La verità che è che già ai tempi della sua presidenza dell'Aisla, Mario Melazzini evidenziò come in Italia i malati di Sla fossero solo 5mila, «una minoranza su cui non conviene investire in ricerca: non un business». Nell'inchiesta di Guariniello furono monitorati 30mila atleti, accertati 43 casi: molti di più dei 6 ogni 100mila persone nella popolazione non calcistica. Tito Cucchiaroni, Ernst Ocwirk, Guido Vincenzi (tutti ex Samp), Attilio Tassi, Fulvio Bernardini (che fu anche cittì dell'Italia), Armando Segato, Giorgio Rognoni: tanti nomi, tanti volti, stesso destino. Quando a inizio anni Duemila incrociò i dati, l'Enpals - l'ente per le pensioni agli ex calciatori - accertò che con il passare del tempo il rischio di ammalarsi di Sla non era diminuito.

Le morti di Mihajlovic e Vialli hanno ridato forza alla machiavellica ciclicità del tempo, riaffermando l'esigenza di risposte mai arrivate.

Che ora nutrono nuovi timori.

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