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Pm in guanti bianchi: l'ennesima carezza per l'Expo e per Sala

La Procura non farà ricorso dopo l'assoluzione in primo grado della società per la vicenda del viaggio della Paturzo con Maroni a Tokyo

Pm in guanti bianchi: l'ennesima carezza per l'Expo e per Sala

Milano I termini scadono il 3 febbraio, ma ormai la decisione è presa: la Procura della Repubblica di Milano non intende impugnare l'assoluzione di Expo, la società guidata da Giuseppe Sala, incriminata in base alla legge 231 sulla responsabilità delle aziende. Smentendo se stessa la Procura rinuncia a portare sul banco degli accusati la società dell'Esposizione per la vicenda del viaggio in Giappone di Maria Grazia Paturzo, stretta collaboratrice di Roberto Maroni. «È una decisione presa unicamente sulla base di considerazioni giuridiche», si spiega negli ambienti della Procura. Ma gli stessi inquirenti non nascondono che la decisione rischia di sollevare nuove polemiche sul trattamento morbido che la Procura è da più parti accusata di aver riservato in questi mesi a Sala e alla società da lui guidata.

Dopo l'archiviazione dell'inchiesta contro Sala per i favori a Eataly di Farinetti, scelta senza gara per un mega appalto Expo, ora la rinuncia all'appello per l'affare Paturzo rischia di suonare come una nuova manifestazione dell'inconsueto garantismo.Era stata la stessa Procura a decidere di metter Expo sotto accusa nell'ambito dell'inchiesta che ruotava intorno al viaggio in Giappone (poi abortito) di Maroni e della Paturzo, legata a lui da rapporti affettivi secondo gli inquirenti, piazzata in business class e hotel a 5 stelle. Sala, oggi candidato sindaco di Milano, era riuscito a restar fuori dall'inchiesta, nonostante alcune intercettazioni in cui il suo braccio destro Christian Malangone lo definiva «allineato» con la decisione di imbarcare la Paturzo. Però il pm Eugenio Fusco aveva messo sotto accusa Expo, perché era convinzione della Procura che la decisione si accettare la richiesta di Maroni fosse stata presa da Malangone proprio nell'interesse della società, per evitare che frizioni con la Regione potessero nuocere gravemente all'esposizione in un momento delicato della marcia di avvicinamento all'inaugurazione. Sala restava fuori dai guai, ma se non altro finiva alla sbarra la sua creatura.

Il 20 luglio scorso, dopo avere tenuto l'indagine ferma qualche tempo per non accavallarsi con la cerimonia inaugurale, la Procura aveva chiesto il rinvio a giudizio di tutti gli imputati, Expo compresa. Il 20 novembre il giudice preliminare Chiara Valori aveva condannato a quattro mesi Malangone, l'unico tra gli imputati a scegliere il rito abbreviato, e aveva rinviato a giudizio tutti gli altri insieme a Maroni. Tutti tranne Expo, assolta con formula piena. Davanti a una tale sconfessione, sembrava ovvio che la pubblica accusa ricorresse in appello per portare a processo anche Expo: nella ricostruzione della Procura le colpe di Malangone sono strettamente intrecciate agli interessi della società, e condannare l'uno senza condannare l'altra risulterebbe dunque una specie di anacoluto giuridico. Invece, dopo avere letto le motivazioni della sentenza lo scorso 11 dicembre, il pm Fusco ha lasciato che i giorni scorressero senza presentare ricorso. E non sembra proprio che nei prossimi giorni la situazione sia destinata a cambiare. Per il giudice, Malangone agì soltanto nel suo interesse, per garantirsi una carriera dopo l'esposizione universale. Expo non c'entra, dice il gip.

E la Procura si adegua.

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