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Poletti insegue Camusso: voucher solo alle famiglie

Il ministro cerca di sminare il referendum Cgil vietando alle imprese l'utilizzo dei buoni lavoro

Poletti insegue Camusso: voucher solo alle famiglie

Modificare i voucher «lasciandoli tendenzialmente per le famiglie per i piccoli lavori; le imprese hanno già i contratti». Il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, ieri ha formalizzato un cambio di indirizzo nella normativa sui buoni dando così il via libera alle manovre parlamentari per disinnescare il referendum promosso dalla Cgil.

«Fermo restando che i governi Renzi e Gentiloni non hanno fatto nulla per ampliare e agevolare i voucher, io credo che vadano modificati», ha detto Poletti rimarcando come «la commissione Lavoro della Camera stia operando bene: siamo pronti a confrontarci e credo che si possa appunto intervenire». Oggi è previsto un confronto tecnico tra il governo e i sindacati, mentre mercoledì prossimo dovrebbe essere varato il testo unico della commissione Lavoro di Montecitorio nel quale saranno recepite le indicazioni emerse in questi giorni. Indicazioni politiche e non solo tecniche: la scissione interna al Pd ha spostato a sinistra gli equilibri della maggioranza e del partito di maggioranza relativa.

Non è scontato, perciò, che l'intesa si raggiunga su quanto ipotizzato dal ministro, cioè la limitazione dell'utilizzo dei voucher alle famiglie (baby-sitter, badanti, colf, ecc.), alle imprese con un solo dipendente (artigianato) e all'agricoltura limitatamente all'impiego di studenti e di pensionati. È molto più probabile che il punto di caduta sia quello ipotizzato dal presidente della commissione Lavoro, Cesare Damiano: il ripristino tout court delle previsioni originarie della legge Biagi (che suona un po' come una nemesi per un ex cigiellino come Damiano che da ministro si spese molto per modificare quel corpus legislativo), ossia utilizzarli per lavori meramente occasionali. Su questa possibilità si sarebbe formata un'intesa trasversale in commissione tra Pd, M5S e Forza Italia con la neutralità interessata della Lega.

Ci sono, però, tre problemi da affrontare: due tecnici e uno politico. Per quanto riguarda le questioni tecniche vi sono da superare, in primo luogo, i paletti posti dai grillini che vorrebbero abbassare la soglia individuale di compenso ricevibile tramite buoni lavoro da 7mila euro annui al vecchio limite di 5mila. Il secondo «scoglio» è la rivitalizzazione del job on call (il lavoro a chiamata) per le imprese: questa forma contrattuale della legge Biagi è stata poi superata dal Jobs Act. È chiaro che si può «proibire» alle imprese di usare i voucher solo fornendo loro uno strumento sostitutivo altrettanto valido per non incoraggiare il ricorso al nero. I coupon, infatti, hanno consentito l'emersione di 800mila lavoratori nel 2015, secondo l'osservatorio statistico dei Consulenti del lavoro.

Il problema politico non è di minore rilevanza. Area popolare-Ncd ha abbandonato i lavori della commissione Lavoro, in aperta polemica con le determinazioni della maggioranza. «Una aberrante soluzione», ha chiosato l'ex ministro e presidente della commissione Lavoro del Senato, Maurizio Sacconi, rimarcando come «la sinistra ci costringa ad una battaglia di retroguardia su elementari strumenti di regolarizzazione dei moltissimi spezzoni lavorativi che si producono e continueranno a prodursi nelle pieghe del mercato del lavoro». Disponibile all'ascolto la leader Cgil, Susanna Camusso, che però pone una pregiudiziale non da poco.

«Una soluzione che risponda al quesito referendario è sicuramente positiva, ci riserviamo il giudizio purché si comprenda che i voucher non possono essere sostitutivi del lavoro dipendente in quanto abbiamo bisogno di ridurre la precarietà».

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