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Politica estera, riforme e conti Così il premier ha fallito tre volte

Sbarchi e caso Lo Porto mettono a nudo Renzi sugli Esteri, l'Italicum è a rischio E sul Paese pendono i 160 miliardi di derivati: una bomba che può far saltare tutto

Politica estera, riforme e conti Così il premier ha fallito tre volte

Dovevamo aspettare il New York Times, Nyt per gli amici, per scoprire l'inconsistenza assoluta di Matteo Renzi quale leader di un grande Paese? Noi lo ripetiamo dal tempo del semestre europeo, quando il piccolo Re era ancora vestito con i mantelli delle favole ed esordì esibendosi sui miti greci, riscuotendo applausi come un bravo liceale al certamen di epica ginnasiale, invece che sulla realtà drammatica delle cose, della vita, della casa che brucia.

Ora le tragedie gli hanno strappato i costumi di scena, e il Re è nudo, ma la cosa incredibile è che è senza vergogna, insiste nel mentire, nel rivendicare trionfi, nel minacciare, come se dalle sue performance delle ultime due settimane, a Washington e a Bruxelles, non fosse uscito bastonato, bastonatissimo.

La tragica vicenda di Giovanni «Giancarlo» Lo Porto è purtroppo rivelatrice della totale inconsistenza del nostro Paese, oggi incarnato da un governo di dilettanti. E anche il credito scarsissimo di fiducia che i nostri servizi segreti hanno oltre Atlantico è diretta espressione della debolezza del nostro Paese. Secondo la ricostruzione del Nyt , che ha eccellenti entrature nella Stanza Ovale, Obama sapeva tutto quando ha incontrato Renzi a tu per tu, ma non gli ha detto nulla.

Se è vera la ricostruzione del Nyt , il fatto è grave in due sensi: 1) Obama non si fida del nostro presidente del Consiglio e della sua capacità di conservare segreti forti e di gestirli con la sua intelligence; 2) La Cia non si fida dell'Aise (ex Sismi). Se invece Obama ne ha parlato davvero a Renzi, allora il governo ha mentito in Aula a Montecitorio e davanti al Paese. Quindi se ne deve andare. Così come se ne devono andare i responsabili dell'Aise e il sottosegretario delegato alla sicurezza della Repubblica (anche dei nostri cittadini all'estero) Minniti. Il quale riferirà al Copasir martedì, e noi chiediamo formalmente che non lo si ascolti finché non si sia posto rimedio all'indecente esclusione di Forza Italia da questo organismo. Cosa si aspetta a convocare anche su questo tema il tavolo della serietà e della coesione nazionale che Berlusconi e Gianni Letta tennero costantemente aperto e operativo durante i sequestri del 2004-2005? Dopo Washington, Bruxelles: il Consiglio europeo straordinario sull'immigrazione. Si è documentata lì la stessa incapacità del governo italiano di passare dalla divertita retorica ai sodi fatti. Matteo Renzi non ha ottenuto nulla di concreto sul principio inderogabile della solidarietà comunitaria, per cui il mar Mediterraneo non è solo italiano, ma europeo. E non si tratta, quindi, di dare una mano all'Italia, ma di far sì che l'Europa concepisca se stessa come organismo unitario, e in quanto tale responsabile in primis.

E a Bruxelles l'Italia ha ricevuto un altro no clamoroso. Ma accompagnato da una pacca sulla spalla: triplicare Triton è peggio di non far nulla, perché ha la pretesa di essere risolutivo. La colpa che facciamo a Renzi non è tanto l'insuccesso, ma il rivendicare come grande risultato un insultante no. Il problema gravissimo del nostro Paese è che la sola questione interessante per il premier è la sua immagine. Non si arrabbia con i potenti del mondo, ma insulta gli italiani, invece che sfidare gli europei e farsi rispettare dagli americani.

Questo il fallimento sulla politica estera. Ma sulla politica economica non va meglio. La finanza pubblica italiana siede su una bomba a orologeria, vale a dire i 160 miliardi di derivati sottoscritti dal Tesoro italiano nei confronti di 19 banche, e gli oltre 40 miliardi di perdite potenziali che potrebbero realizzarsi nei prossimi mesi e nei prossimi anni, mandando a picco l'economia.

L'avevamo denunciato in Parlamento, ottenendo risposte confuse, evasive, omertose da parte del governo. Venerdì Bloomberg , sulla base di dati Eurostat, ha certificato quello che andiamo dicendo da mesi: «I derivati servono a coprire gli Stati da rialzi repentini dei tassi di interesse sui bond sovrani, ma in Italia hanno avuto l'effetto opposto: quello di aumentare il debito pubblico, già a livelli record», scrive la principale testata finanziaria mondiale. E ancora: «Tra il 2011 e il 2014 l'Italia ha realizzato perdite su derivati pari a 16,9 miliardi di euro: più di tutta l'Eurozona messa insieme (16,3 miliardi). Nell'ultimo anno le perdite su derivati sono state pari a 5,46 miliardi». Valeva davvero la pena stipularli? Di fronte a questi dati e al silenzio colpevole del Tesoro abbiamo chiesto le dimissioni del ministro dell'Economia e delle finanze, Pier Carlo Padoan e un azzeramento dei vertici della direzione «Debito pubblico», che in questi anni hanno gestito con opacità, leggerezza e, alla luce del confronto internazionale riportato da Bloomberg , manifesta incompetenza uno dei settori più delicati per la vita del nostro Paese.

Prima di questa, l'ultima Renzi l'aveva combinata giovedì. È ormai chiaro a tutti che il «tesoretto» non esiste, ma lui vuole spenderlo per vincere le Regionali, come ha già fatto con il bonus degli 80 euro alle Europee. E vuole agire per decreto, prima dell'appuntamento del 31 maggio. Ma nel decreto occorrerà indicare le coperture di quel miliardo e sette di spesa. Per essere certe, quindi approvate dall'Europa, queste coperture non potranno che essere tagli lineari. Ma i tagli lineari farebbero perdere consensi al presidente del Consiglio e segretario del Pd. Allora che si è inventato Renzi? Rinviare la soluzione del problema a giugno. In altre parole: se tagli o aumenti di tasse devono essere, diciamolo all'opinione pubblica dopo le elezioni, altrimenti non ci votano. Un'infamia contabile mai vista prima. Anche in questo caso, abbiamo chiesto che il Ragioniere generale dello Stato, Daniele Franco, intervenga prima dello scempio, se non vuole rendersi corresponsabile di un imbroglio da denuncia alla procura della Corte dei conti.

Il tutto in un contesto in cui il governo continua a diffondere ogni mese dati sul mercato del lavoro senza specificare le metodologie di calcolo e salvo smentire i trionfalismi poco dopo. E il tasso di disoccupazione è al 12,7%, quando Renzi parolaio, più di un anno fa, il 1° aprile 2014 a Londra, aveva annunciato di portarlo sotto il 10% in pochi mesi. Così come il governo mente sul debito pubblico, in continua crescita stando a tutte le rilevazioni, ma stabile secondo il ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan. I numeri, però, sono numeri, ed Eurostat li ha pubblicati pochi giorni fa: nel 2014 il rapporto debito/Pil in Italia ha raggiunto il 132,1%, dal 128,5% del 2013, ma soprattutto dal 116,4: 15,7 punti in più con Renzi oggi rispetto a Berlusconi nel 2011.

In questo quadro fosco, un paio di buone notizie, sul fronte delle riforme. La prima: Renzi ammette che l'Italicum è a rischio. È possibilissimo che il governo vada sotto, e salti il suo pacco di riforme piene di veleno. Per questo minaccia, e dice (seconda buona notizia): se mi bocciate l'Italicum cade il governo. Lo dice con l'aria di chi sa che poi si andrà al voto, e su questa base ricatta i parlamentari paurosi di non trovare posto nella prossima legislatura. C'è un piccolo problema per Renzi: chi l'ha detto che si andrà a votare? Lui è arrivato con le elezioni? Chi la fa l'aspetti.

#Matteostaisereno. O no?

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