Polpette avvelenate Legami vietati al lavoro via il capo McDonald's

Le regole aziendali non ammettono relazioni Il ceo Easterbrook perde il posto: «Colpa mia»

Andrea Cuomo

Il McToo è servito. Un menu che è rimasto sullo stomaco all'amministratore di McDonald's, la catena di fast food più famosa del mondo. Stephen J. Easterbrook, 52 anni, da quattro anni alla guida dell'azienda della grande M gialla, è stato dimissionato a causa della sua relazione con una dipendente, pratica vietata dalla policy aziendale. Al suo posto Chris Kempczinski, 51 anni, fino a ieri a capo della compagnia negli Stati Uniti, che eredita una società gigantesca (38mila ristoranti in 100 Paesi, 210mila dipendenti e 69 milioni di clienti) ma in piena crisi. Con Easterbrook perde il posto anche il responsabile delle Risorse umane, David Fairhurst, senza spiegazioni da parte dell'azienda californiana.

In realtà le pasionarie del #metoo non hanno molto da esultare. La relazione tra Easterbrook e la sua dipendente, della quale per tutela della privacy non è stato reso noto il nome, non ha nulla di losco. I due sono tuttora felicemente insieme, e nessuna violenza, coercizione o forma di pressione psicologica sembra sia stata esercitata da parte di Easterbrook. Semplicemente, avere una relazione con una dipendente è vietatissimo dalla policy aziendale che riguarda il management. Easterbrook lo sapeva quando ha firmato il suo supercontratto (secondo il Wall Street Journal nel 2017 il manager ha percepito 21,8 milioni di dollari, e nel 2018 «appena» 15,9 milioni) e quindi l'addio alla poltrona più in vista dell'azienda californiana rappresenta quasi un automatismo. «Ha dimostrato uno scarso giudizio in merito a una recente relazione consensuale», recita gelida la nota diramata dal board di McDonald's che dà conto del licenziamento del ceo dopo la decisione votata dai vertici venerdì scorso. E infatti lui sembra averla presa con fair play: «Il mio è stato un errore. Considerati i valori dell'azienda, sono d'accordo con il board che per me è giunta l'ora di andarmene», ha risposto Easterbrook, che ha anche rinunciato a qualsiasi pretesa economica nei confronti dell'azienda e per due anni non potrà lavorare per una lunga serie di concorrenti, tra i quali Burger King, Starbucks e Pizza Hut.

Easterbrook, originario di Watford (Hertfordshire) è divorziato e padre di tre figli. Ha un curriculum impeccabile sul fronte delle politiche aziendali di genere, al punto da essere stato nominato «Ceo Champion for Change» dalla Catalyst, una organizzazione no profit impegnata nel creare posti di lavoro adatti alle donne. È entrato in McDonald's nel 1993, è stato capo della filiale britannica e di quella del Nord Europa e, dopo una parentesi come amministratore delegato di Pizza Express e di Wagamama, dal 2013 è stato Chief brand officer globale (Cbo) e due anni dopo è diventato Ceo. Nei suoi quattro anni ha dovuto fronteggiare una delle più grandi crisi della storia della catena, con un continuo calo di clienti provocato da cambi di gusti e di abitudini: Easterbrook ha reso i menu più salutari e di alta qualità, sviluppato le opzioni di pagamento mobili e la collaborazione con società di delivery come Uber Eats e DooDash. Durante il suo «regno» il valore delle azioni è raddoppiato, anche se la terza trimestrale del 2019 si è chiusa con un calo del 2 per cento. Qualche dietrologo ha ipotizzato che dietro la rimozione di Easterbrook ci sia la precisa volontà di affidare tutto a Kempczinski, a cui viene riconosciuto il piano strategico e di trasformazione della compagnia più importante nella storia di McDonald's Usa.

Ma gole profonde aziendali assicurano invece che sia proprio una lettura rigida di un codice comportamentale a essere costato caro al ceo, anche a causa delle asfissianti pressioni di Fight for 15$, il gruppo di azione che si batte per un salario minimo nelle imprese americane e che avrebbe presentato al board il dossier anti-Easterbrook.

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