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Dal porto d'armi alla fuga È una tragedia all'italiana

È bastato uno squilibrato pasticcione per far saltare ogni meccanismo di difesa Giardiello libero di agire grazie ai soliti buchi neri della nostra burocrazia

Dal porto d'armi alla fuga È una tragedia all'italiana

Il Paese delle meraviglie. E anche un po', ammettiamolo, della solita cialtronaggine. Che questa volta, avant'ieri, al Tribunale di Milano è costata cara. Troppo cara. Buchi neri, attraverso i quali è transitata senza troppa fatica tutta la violenza di Claudio Giardiello, l'immobiliarista che ha ucciso tre persone sparando con fredda determinazione a Palazzo di giustizia. Cominciamo dalla contraddizione più eclatante che è stata sicuramente la prima causa della strage: l'uomo deteneva regolarmente la sua pistola nonostante il no e le preoccupazioni dei carabinieri di Brugherio che avevano espresso un parere negativo riguardo alle sue esercitazioni al tiro al bersaglio. Ma la Prefettura ignorò la segnalazione dei militari che, secondo la legge, pensate un po', non è da ritenersi vincolante. E quindi: libero uso dell'arma. Per libera strage. E poi? Poi anche quella sua, chiamiamola fragilità di nervi, acclarata dai servizi sociali di Garbagnate che, quando lui si era presentato per chiedere un aiuto economico e anche un alloggio popolare, per tutta risposta gli avrebbero semplicemente e pilatescamente consigliato di «farsi vedere da uno specialista».

In buona sostanza, un altro bel campanello d'allarme, tristemente ignorato con due secchi no. Niente aiuto, né economico né psicologico. Soltanto la certezza, decretata all'unanimità dai suoi interlocutori, che Gilardiello fosse «stressato». Quando si dice prevedere tutto. Per tuffarci in un altro buco nero passiamo anche noi dai varchi d'ingresso al Palazzo di giustizia di Milano. Per scorpire che sei delle porte sono e quindi anche l'altro giorno controllate dai vigilantes col metal detector mentre la settima viene sorvegliata da un'altra società specializzata. Nel caso specifico si tratta del varco di accesso da cui entrano gli avvocati che, notoriamente da sempre, ma proprio da sempre, entrano senza incontrare alcun problema. Così, come dire, a riconoscimento somatico. All'intruso di turno, in questo caso il Gilardiello è quindi bastato mostrare quel tesserino di appartenenza all'Ordine, grossolanamente falsificato ed entrare. Con la massima sicurezza e disinvoltura in quell'edificio che è, o meglio dovrebbe essere, il baluardo della massima sicurezza e della giustizia. E pure, particolare non meno significativo e sconcertante, persino ad uscirvi poi, dopo aver compiuto una strage.

Servono altri buchi neri per completare questo buio mosaico dell'inadeguatezza e dell'impreparazione di un Paese che si fa mettere in scacco da un tipo «molto stressato» con libertà di detenere una pistola? Ebbene eccoci a prendere in considerazione ora, ma solo ora purtroppo, la denuncia ovviamente inascoltata (c'è sempre una denuncia inascoltata in tutte le tragedie italiane) di un funzionario del Tribunale, esperto di sicurezza, che il 5 marzo scorso aveva avvisato tutti gli avvisabili, ministro della Giustizia incluso, che il tribunale di Milano era organizzato «come un fortino indifendibile». Persino lui, Gilardiello, sembra essere rimasto sorpreso da tanta inadeguatezza. «Speravo che mi fermassero – ha infatti detto ai carabinieri. Speravo che me la trovassero all'ingresso così non avrei fatto tutto questo», ha spiegato ai militari.

Un ultimo inquietante interrogativo: chi vigila gli ingressi del Tribunale gestirà anche parte dei con controlli sull'Expo. C'è da stare tranquilli?

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