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Il premier liscia i magistrati ma metà Pd è sotto inchiesta

Renzi prova a far pace coi magistrati: «Siamo in prima fila con loro per sconfiggere la criminalità». I timori che il caso Graziano in Campania pesi sulle amministrative

Il premier liscia i magistrati ma metà Pd è sotto inchiesta

Roma - Dopo la brutta aria tirata nei giorni scorsi, che aveva quasi portato ad una riedizione dei vecchi scontri in stile berlusconiano tra politica e magistratura, il premier Matteo Renzi sembra ora voler tendere la mano ai magistrati in un momento particolarmente delicato per il suo partito, con un pezzo del Pd sotto inchiesta e con la notizia ancora fresca del coinvolgimento del presidente della Regione Campania Stefano Graziano in un'indagine per concorso esterno in associazione mafiosa per aver favorito il clan dei Casalesi in cambio di voti.

Il presidente del Consiglio parla dalla Calabria, dove ha partecipato all'inaugurazione delle nuove sale espositive del Museo nazionale. Poche parole per seppellire l'ascia di guerra: «Dobbiamo riuscire a continuare la battaglia contro la criminalità perché questa non è ancora vinta. Ecco perché noi siamo in prima fila con i giudici e con le forze dell'ordine che combattono contro la 'ndrangheta». Un concetto banale, che in un altro momento sarebbe passato inosservato. Di questi tempi, invece, con Renzi e i suoi rapporti non propriamente rilassati con la magistratura nonostante gli sforzi di farli apparire tali, certe parole si prestano a letture e interpretazioni diverse. Soprattutto con le amministrative alle porte che, a Napoli in particolare, potrebbero risentire dell'inchiesta sull'ex consigliere del suo governo, Graziano, ritenuto dagli inquirenti il «punto di riferimento politico e amministrativo dei clan».

È da un pezzo che va avanti lo scontro tra Renzi e i magistrati. Li aveva già attaccati frontalmente all'inizio di aprile dopo che i pm di Potenza avevano sentito come testimone il ministro Maria Elena Boschi nell'ambito dell'indagine sulle estrazioni di petrolio in Basilicata che ha coinvolto l'ex ministro Federica Guidi. In quell'occasione il premier, senza nascondere una certa irritazione, aveva accusato i giudici di fare indagini con la cadenza delle Olimpiadi senza mai arrivare a sentenza. Dopo l'intervista dirompente del neo presidente dell'Anm Piercamillo Davigo al Corriere della Sera, in cui l'ex pm di Mani Pulite sosteneva che «i politici non hanno mai smesso di rubare ma soltanto di vergognarsi», aveva dapprima cercato di non infiammare lo scontro, concordando con il Pd le reazioni e la consegna del silenzio con tutto il governo. Poi, due giorni dopo, si era lasciato andare: «Dire che sono tutti colpevoli significa dire che nessuno è colpevole, voglio nomi e cognomi dei colpevoli e voglio vedere le sentenze». In un crescendo di accuse sempre più esplicite: «Una politica forte non ha paura di una magistratura forte. È finito il tempo della subalternità».

Una vera e propria dichiarazione di guerra, insomma. Poi da Napoli è arriva l'inchiesta su camorra e appalti che ha travolto Graziano. Un'altra tegola per il Pd, che ha imposto la necessità di riguadagnare terreno e di ricucire lo strappo con la magistratura. Prima con l'accelerazione imposta in Parlamento alla riforma sulla prescrizione e sulle intercettazioni.

Ora tendendo la mano ai giudici: «In prima fila con voi per sconfiggere la criminalità».

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