Cronache

Un premio ai fannulloni: reintegrati (con arretrati)

I dipendenti dell'azienda dei trasporti milanesi avevano accumulato fino a 7 anni di assenze

Un premio ai fannulloni: reintegrati (con arretrati)

Milano La parola «fannulloni» non compare mai nelle carte dei diversi processi intorno a questo caso, tanto meno viene usta dall'azienda che ha licenziato i propri dipendenti per «scarso rendimento». Ma a leggere i numeri delle assenze per malattia - fino a punte di sei mesi l'anno se si sommano i giorni - riportati nelle memorie del datore di lavoro quella di «fannulloni» è la prima definizione che viene in mente. Tra appelli e ricorsi la vicenda è arrivata in Cassazione, dove però Atm (Azienda trasporti milanese) è stata condannata a reintegrare i lavoratori e a versare loro gli stipendi non percepiti nel periodo di esonero.

Le controversie legali sono nate alcuni anni fa, con i licenziamenti appunto di tre dipendenti di Atm. Sono due conducenti e un operaio di 46, 47 e 50 anni. Nel primo caso il dipendente in 15 anni di carriera ha totalizzato quasi 2mila giorni di assenza per malattia o congedo, che corrispondono a circa sette anni. Nel secondo nei 14 anni di servizio le assenze a singhiozzo non scendevano mai sotto il 25 per cento annuo, circa tre mesi (oltre al mese di ferie). Qui l'azienda contestava anche numerosi provvedimenti disciplinari (40) e incidenti alla guida: tre all'anno, di cui la metà per colpa del conducente. Nell'ultimo il dipendente, assunto 14 anni prima, si assentava per malattia per circa il 30 per cento dei 235 giorni lavorativi annui previsti dal contratto, circa tre mesi e mezzo. Ma ha toccato punte di cento giorni non lavorati, più o meno sei mesi l'anno. Ci sono stati inoltre 13 procedimenti disciplinari. In tutte e tre le vicende si trattava per lo più brevi periodi di assenza, alcuni giorni qua e là, poco prima o poco dopo le vacanze, a ridosso del fine settimana oppure delle festività. Spesso in conseguenza di richieste di ferie negate dall'azienda.

La Suprema corte se ne è occupata in due occasioni su ricorso di Atm, che dopo aver vinto il processo davanti al Tribunale di Milano (cui si era rivolto il tranviere esonerato) si era vista dare torto dalla corte d'Appello. Nella terza su ricorso del lavoratore, la cui richiesta di dichiarare illegittimo il licenziamento era stata respinta sia in primo sia in secondo grado. Nelle tre sentenze, molto simili fra loro e firmate dallo stesso collegio, la Cassazione dà sempre ragione all'impiegato (in una, annulla con rinvio la pronuncia d'Appello). E dichiara che «l'ipotesi dello scarso rendimento è diversa e separata da quella delle ripetute assenze per malattia». Il datore di lavoro si era mosso sulla base del Regolamento del Regio decreto (il 148 del 1931) che disciplina i motivi legittimi di esonero definitivo nelle aziende del trasporto pubblico. Per Atm, in sostanza, la «eccessiva morbilità» comprometteva la quantità e la qualità della prestazione. Comportando quindi un rendimento scarso. Per la Suprema corte non è così. Anche perché «mentre lo scarso rendimento (previsto appunto dalla norma cui si rifà il datore di lavoro, ndr) è caratterizzato da colpa del lavoratore, non altrettanto può dirsi per le assenze dovute a malattia». La questione è dibattuta nel diritto del lavoro, le sentenze tuttavia fanno riferimento alla «prevalente giurisprudenza di questa Suprema corte». Spiega Atm in una nota: l'azienda «garantisce pienamente il diritto del lavoratore a ricorrere allo strumento della malattia e del congedo, mettendo spesso a disposizione strumenti di welfare che aiutino i propri dipendenti a conciliare il lavoro con problematiche personali (di salute e non) con quelle lavorative.

Gli strumenti legati alle politiche di wellbeing sono numerosi e sono destinati al mantenimento del benessere e della salute delle persone».

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