Politica

Il primo giorno nero di Renzi. Perde Sel (e pure Della Valle)

Matteo attacca: tengo duro e non mi faccio ricattare da chi pensa solo alla poltrona

Il primo giorno nero di Renzi. Perde Sel (e pure Della Valle)

Il Pd si ricompatta e Matteo Renzi recupera i dissidenti, ma con gli «ostruzionisti» di Sel il premier va alla guerra. Senza esitazioni: si fa anche riprendere, durante l'incontro a Palazzo Chigi con i campioni di scherma, mentre impugna una sciabola («Ogni tanto una sciabolata ci vuole», lo incoraggia offrendogli l'arma il numero uno di Federscherma, Giorgio Scarso) mima un affondo: «Ogni riferimento al Senato è casuale», se la ride. I suoi intanto usano il cannone contro il partito di Sel, asserragliato in Senato con i suoi 6mila emendamenti: Luca Lotti viene spedito da Palazzo Chigi a sparare il colpo più fragoroso, minacciando la rottura di ogni alleanza alle prossime amministrative e regionali. Linea dura, insomma, durissima, e i dirigenti di Sel vagano smarriti sotto le raffiche, e reagiscono rabbiosi: «Non ci pieghiamo ai ricatti», dice Nichi Vendola. Poi arriva la raffica di tweet contro il premier e il suo fedelissimo: «Il Pd rompe in tutta Italia alleanze con Sel. La svolta politica più veloce del mondo. Come tweet di Palazzo Chigi. La svoltina». E ancora. «Sette senatori Sel che non si piegano a ricatti sono problema Italia? E i nuovi Padri della Patria sono Berlusconi e Verdini?», si chiede Vendola prima di lanciare l' hashtag #lottistaisereno: «Non cambia Italia se non cambia linguaggio classe dirigente. So che per qualcuno è concetto troppo sofisticato ma è la verità».

Un colpo a sorpresa però arriva anche sul premier, da fuoco (un tempo, almeno) amico: Diego Della Valle, il patron di Tod's nonché della Fiorentina amata dal premier, spara sul Renzi costituente e si rivolge addirittura a Napolitano: «Un appello al presidente: la Costituzione è stata scritta da persone come Einaudi, non la facciamo cambiare dall'ultimo arrivato seduto in un bar con un gelato in mano». E ancora: «Da troppi giorni sentiamo parlare di cose che non spostano di una virgola il futuro del Paese, siamo tornati al vecchio politichese. Mi auguro che il governo rimetta la palla al centro e si occupi delle famiglie italiane. Gli diamo il tempo che serve, poi a settembre ci ripresenteremo a chiedere nero su bianco cosa sta succedendo».

Parole di durezza inusitata, che qualcuno attribuisce al braccio di ferro col governo sul decreto competitività, nella parte che tocca gli incentivi sull'elettricità per le ferrovie, causando pesanti contraccolpi a Ntv. Ma da ambienti vicini al premier si fa notare anche che Della Valle non avrebbe ben digerito il cordiale incontro a Palazzo Chigi tra Renzi e due suoi arcinemici, Marchionne ed Elkann («un poveretto e un imbecille», secondo il capo di Tod's) andati a presentare l'ultima nata di casa Fiat, la Renegade. Ripicche e gelosie, insomma.

Checché ne pensi Della Valle, comunque, al Senato sulla riforma regna il caos. E contro Sel il premier è un vulcano in eruzione: li accusa di doppio gioco, «ci avevano detto che con la proposta di mediazione di Chiti si poteva chiudere e poi oggi hanno fatto il contrario», si sfoga con i suoi. «Ma io tengo duro, perché siamo al braccio di ferro decisivo. E chi lo vince segna il match finale». D'altronde, lo spettacolo piuttosto surreale che sta andando in scena a Palazzo Madama, dove tra urla e strepiti si marcia al ritmo di un emendamento ogni sei ore, è tutto a vantaggio di Renzi: «L'80% della gente è con me, in questa battaglia, e io non mi farò ricattare da chi tiene solo alla poltrona. O li pieghiamo adesso, i frenatori, o faranno quel che vogliono per tutta la legislatura», assicura.

La sciabola insomma non la molla, «e terremo duro anche se ci trascinano fino a ottobre con l'ostruzionismo». Gli uomini di Sel, a cominciare dai più “trattativisti”, ieri erano allarmatissimi: «Così Renzi ci mette spalle al muro e ci preclude ogni possibilità di finire questo ostruzionismo», spiega uno di loro. «Non ci hanno offerto nessuna via d'uscita». Insomma, come dice il coordinatore di Sel Nicola Fratoianni, «altro che trattative sulla legge elettorale, gli uomini di Renzi non ci hanno offerto neanche un caffè». Insomma, le “aperture” di Renzi sull'Italicum sono serviti a recuperare i dissidenti Pd, ma sulle soglie di sbarramento che stanno a cuore a Sel (e a Ncd) né Renzi né Berlusconi vogliono cedere. Mentre su soglia del premio e preferenze i due avrebbero già un'intesa di massima.

Insomma, come conferma il premier in serata, «il patto del Nazareno regge», anche sulla pelle di Sel.

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