Cronache

Il principe dei domatori: "Le tigri sono la mia vita ma qui si sfida il destino"

Figlio della mitica Moira Orfei: "Soffro per la fine di Weber, ma lo spettacolo deve continuare"

Il principe dei domatori: "Le tigri sono la mia vita ma qui si sfida il destino"

Nel mondo del circo ogni personaggio è avvolto da un'aura di leggenda. A cominciare dal presidente onorario dell'Ente nazionale circhi, Egidio Palmiri, 96 anni, il «trapezista volante» più geniale e temerario di tutti i tempi.

Al suo fianco, da sempre, c'è il presidente effettivo, Antonio Buccioni, per il quale ieri è stato un giorno drammatico: «La morte del domatore Ettore Weber, morto dopo essere stato attaccato da una delle sue tigri, ci addolora profondamente - racconta al Giornale -. L'incidente di ieri rilancerà sicuramente la sterile polemica sulla presenza nei circhi dei grandi felini (quelli protagonisti del dramma di ieri sono già stati posti «sotto sequestro» dall'autorità giudiziari ndr). Ma la verità è che la disgrazia accaduta nel Barese è un fatto rarissimo. Le consiglio di parlare con uno tra i più noti domatori italiani: Stefano Orfei Nones, figlio di Moira Orfei e Walter Nones».

Decidiamo di accettare il consiglio di Buccioni.

Stefano Orfei Nones, lei, come mostra il suo cognome, è un figlio d'arte.

«Sono nato praticamente sotto un tendone. Con genitori così non potevo che dedicarmi alla vita circense».

E ha scelto la «specialità» più pericolosa: addestratore di animali feroci.

«Preferisco definirli animali meravigliosi. Una passione che papà mi ha trasmesso fin da piccolo».

Oggi, a 53 anni, che rapporto ha con le tigri e i leoni?

«Di amore e rispetto».

Ma questi «giganti» possono essere completamente addomesticati?

«No. E sarebbe contronatura tentare di eliminare il loro istinto predatorio».

Si può, però, «addolcirlo».

«È ciò che facciamo noi addestratori. Non usando certo fruste o sistemi violenti. Ma attraverso esercizi che, non a caso, vengono in gergo definiti dolci».

Gli stessi allenamenti che l'altroieri stava effettuando Ettore Weber all'interno della gabbia del Circo Monti. Cos'è è andato storto?

«Si parla di un'aggressione da parte di una prima tigre, che poi ha scatenato l'assalto di altre tre. In quelle condizioni salvarsi sarebbe stato un miracolo».

Un «miracolo» che invece, per quanto riguarda la sua storia professionale, si è avverato.

«Vero. Nel 2009 anch'io ho rischiato di morire in una situazione analoga ha quella in cui ha perso la vita Weber».

Come riuscì a farla franca?

«Grazie alla prontezza e al coraggio del mio papà, Walter Nones, domatore di grandissima esperienza».

Cosa fece esattamente suo padre?

«Quando vide la reazione delle tigri, entrò nella gabbia e con un tubo di gomma riuscì ad allontanarle dal mio corpo, che però ne porta ancora i segni indelebili».

Eppure non ha mai i smesso di lavorare con tigri e leoni.

«Mai».

Quando ha saputo della fine del suo collega Weber?

«Me l'hanno detto poco prima che iniziasse il mio numero nel circo che porta il nome di mia madre».

Non è stato tentato di rinunciare all'esibizione?

«No. Anzi l'ho dedicata col cuore a Ettore. So che è una scelta che lui avrebbe apprezzato e condiviso. The show must go on. Per noi circensi questo è un principio inderogabile».

Ma prima di entrare nella gabbia non ha mai paura?

«Io sono cosciente di fare un mestiere pericolosissimo. I rischi sono tanti. Gli stessi di un pilota di Formula 1 qundo corre in pista o di un pugile quando sale sul ring».

La vostra vita è appesa a un filo.

«Per questo bisogna sempre essere concentrati, mettendo passione e competenza in ogni nostra giornata di lavoro».

Gli animalisti continuano a dire che nei circhi le beste vengono maltrattate.

«Non sanno di cosa parlano. Sarebbe assurdo non far vivere bene creature senza le quali la nostra esistenza non avrebbe senso».

Lei ha figli?

«Sì, Manfredi, 10 anni. Sogna di diventare anche lui un addestratore».

Di bestie feroci?

«No, di cavalli».

E, chissà perché, Stefano Orfei Nones lo dice tirando un gran sospiro.

Di sollievo.

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