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La madre di tutti i guai: l'abolizione dello scalone

Prodi cancellò la riforma firmata Maroni: così si perse un risparmio di 9 miliardi l'anno

La madre di tutti i guai: l'abolizione dello scalone

Roma - Wikipedia ricorda il secondo governo Prodi come un governo dei record. Positivi, come le lenzuolate di Bersani. Ma anche negativi. È stato l'esecutivo più affollato della storia repubblicana: 103 fra ministri e sottosegretari. Ed è stato il primo (dopo De Gasperi III) ad ottenere il sostegno dell'intera sinistra parlamentare.

Da un punto di vista economico, il Prodi II passa alla storia per aver cancellato la riforma fiscale voluta dal governo precedente. Nella sostanza, cancellando quella riforma (in momenti diversi, il governo Berlusconi IV aveva ridotto le aliquote Irpef e ridisegnato gli scaglioni) Prodi aumentò di fatto le tasse. Riducendo così il potere d'acquisto per le famiglie. Eliminando così l'abbrivio che consentì nel 2007 all'Italia di crescere al 2,7%. Poi, in ottobre, arrivò la crisi finanziaria.

D'altra parte, proprio il ministro dell'Economia dell'epoca, Tommaso Padoa Schioppa, teorizzava la «bellezza delle tasse». Oltre a definire «bamboccioni» i giovani che - senza lavoro - continuavano a vivere a casa di mamma e papà.

Ma quel governo passa alla storia anche per aver impedito l'entrata in vigore del cosiddetto «scalone Maroni»: la riforma delle pensioni. Il Parlamento l'aveva approvata nel 2004, ma doveva entrare in vigore nel 2008. A regime (cioè nel lungo periodo) avrebbe garantito 9 miliardi di risparmi all'anno. Prodi la cancellò appena approdato a Palazzo Chigi. Era il pegno che aveva chiesto Rifondazione comunista per sostenere il governo. Se quella riforma non fosse stata cancellata quasi dieci anni fa, molto probabilmente non sarebbe arrivata la lettera della Bce (la richiesta più forte di Francoforte era proprio la riforma delle pensioni). E con ogni probabilità, Elsa Fornero e Mario Monti non avrebbero avviato la riforma ora in vigore: oggetto di critiche da parte della Corte costituzionale per il blocco delle rivalutazioni per gli assegni superiori cinque volte il minimo.

La riforma Maroni, unica accolta dalla Lega (tant'è che nel 2011 i lumbard non accettarono le modifiche pensate a Palazzo Chigi da Berlusconi per rispondere alla lettera della Bce: nel frattempo, Roberto Maroni non era più ministro del Lavoro, ma dell'Interno), prevedeva in modo meno traumatico principi molto simili a quelli introdotti con la riforma Fornero. Vale a dire, innalzamento dell'età di ritiro dall'attività lavorativa a 60 anni e con un minimo di 35 anni di contributi. Ma soprattutto li introduceva senza traumi. Senza un decreto. E soprattutto con un anticipo di 4 anni. Tant'è che era addirittura prevista l'ipotesi (che non ha mai funzionato, a dir la verità) di un bonus per il pensionato che - pur ritirandosi dall'attività - continuava a prestare servizio in azienda.

Insomma, il governo Prodi II oggi ricordato per la rocambolesca caduta al Senato, in realtà, ha lasciato e sta lasciando strascichi in campo economico: l'aumento delle tasse, in primo luogo; ma anche la cancellazione della riforma previdenziale.

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