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Profughi ricollocati, un flop. L'Ue li va a prendere in Libia

Solo 9mila rifugiati trasferiti, ma 26mila restano qui E Bruxelles rilancia: altri 50mila da Africa e Turchia

Profughi ricollocati, un flop. L'Ue li va a prendere in Libia

Ricollocazione degli immigrati parte prima, fallita miseramente. Ora l'Europa rilancia e propone un nuovo piano di «reinsediamento». Che consiste di andare a prendere i richiedenti asilo direttamente negli stati extra europei. Con un vago impegno ad occuparsi dei tanti che sono rimasti intrappolati dentro le frontiere degli stati del Sud. Altro probabilissimo flop. Non è un buon momento per l'Italia e per l'autorità di Bruxelles. Ieri la Commissione europea ha presentato il piano per riformare Schengen, il trattato che stabiliva la libera circolazione all'interno dell'Unione. In breve, hanno vinto quelli che vogliono fare tornare le frontiere.

Posizione legittima se l'esecutivo europeo fosse riuscito a fare rispettare le regole che lui stesso a stabilito. Ad esempio sul ricollocamento dei migranti approdati nelle cose di Italia e Grecia. Ma così non è stato e in questo caso hanno vinto quelli che si sono rifiutati di accogliere i rifugiati.

In tutto sono solo 9.078 i richiedenti asilo che sono stati spostati dal Belpaese verso i pochi partner europei disposti ad accettarli. Quelli ricollocati dalla Grecia sono stati 20.066. Il meccanismo, partito il 25 settembre 2015 e terminato martedì ne prevedeva 120 mila. Il risultato è stato di quattro volte inferiore alle premesse. Quelli che resteranno in Italia, visto che i richiedenti asilo presenti sono circa 35 mila, sono 26 mila.

Eppure per la Commissione europea guidata da Jean Claude Juncker è stato un successo. «Con oltre 29 mila persone ricollocate finora, il primo meccanismo di ricollocazione su larga scala coordinato dalla Ue ha contribuito a ridurre fortemente la pressione sui sistemi di asilo dell'Italia e della Grecia», si legge in un documento nel quale il governo europeo propone un nuovo programma di reinsediamento per almeno 50 mila rifugiati.

Si cerca di prendere direttamente in Turchia e Africa le «persone più vulnerabili» tra i richiedenti asilo. Rafforzando «i percorsi legali» per farli venire in Europa. Il nuovo schema sarà in vigore fino all'ottobre del 2019 e si aggiungerà ai piani di reinsediamento in corso, che stanno terminando e che hanno portato finora oltre 23mila persone nell'Ue, legalmente. Saranno trasferiti dalla Turchia, ma ci si concentrerà maggiormente sul reinsediamento di persone vulnerabili dal Nordafrica e dal Corno d'Africa, in particolare dalla Libia, dove le condizioni nei campi di detenzione sono terribili, dall'Egitto, dal Niger, dal Sudan, Ciad ed Etiopia.

Non è dato sapere quanti ne toccheranno ai paesi, Italia e Grecia, che già reggono il peso di tutti nuovi arrivi. Nella speranza che gli accordi con la Libia reggano (ieri il primo soccorso in mare della marina libica con il supporto di quella italiana).

Gli equilibri nello stato nord africano sono materia delicata anche in Europa. Ieri il presidente francese Emmanuel Macron, ha assicurato che l'Esagono collaborerà con l'Italia. «Sulla Libia abbiamo adottato diverse iniziative congiunte in questi ultimi mesi e la settimana scorsa abbiamo appoggiato la road map presentata dal rappresentante speciale dell'Onu Salamé a margine dell'assemblea generale. Faremo di tutto insieme affinché questa road map sia rispettata e che i risultati concreti possano essere ottenuti in modo da stabilizzare politicamente la Libia e poter costruire il quadro delle elezioni future».

Altra scadenza, altra batosta per l'Italia. Ieri è stata la giornata della proposta di riforma di Schengen, il trattato che stabilisce la libera circolazione tra alcuni stati dell'Unione, sospeso in coincidenza con l'emergenza profughi. La novità di ieri è che i controlli alle frontiere introdotti da Germania, Austria, Danimarca, Svezia e Norvegia resteranno anche dopo l'11 novembre, quando sarebbe dovuta scadere la deroga, cioè la sospensione della libera circolazione, per altri sei mesi.

La certificazione di un fallimento.

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