Politica

La proposta shock: «Tassare le sigarette 18 euro a pacchetto»

Mangiaracina (Agenzia per la prevenzione) alla Lorenzin: «Lo Stato incassa 13 miliardi e ne spende 8 per curare i tumori. Ne ballano 5»

Prendere esempio dalla Nuova Zelanda e aumentare il prezzo di un pacchetto di sigarette a 18 euro. La proposta-shock arriva dal professor Giacomo Mangiaracina, docente della facoltà di Medicina e psicologia della Sapienza di Roma e presidente dell'Agenzia nazionale per la prevenzione. Un attacco al ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, destinataria (al pari dell'Associazione italiana di oncologia medica) di una lettera aperta. «Al ministro - scrive Mangiaracina - dico di attenersi a una delle misure fondamentali nelle strategie di controllo del tabacco a livello mondiale: di incrementare in misura consistente il prezzo delle sigarette».

Il ragionamento poggia su solide basi, anche matematiche. «Ogni anno lo Stato incamera 13 miliardi dal parco fumatori e spende 8 miliardi per le malattie causate dal fumo e le loro conseguenze sociali: il guadagno netto è di 5 miliardi». Secondo l'esperto di medicina preventiva e di lotta alle dipendenze, Stato e governo non si preoccuperebbero abbastanza di quegli «80mila italiani che ogni anno sono vittime dei danni causati dal fumo». L'incremento delle accise, che rappresentano il 75% del prezzo dei tabacchi lavorati, non è un deterrente sufficiente. Tant'è vero che l'Organizzazione mondiale della sanità da circa 20 anni promuove linee guida antitabagismo che indicano come prioritario l'incremento del prezzo.

La tutela della vita e della salute è ragione sufficiente per questo atto che impedirebbe la libera scelta da parte degli individui precludendo a molti il vizio delle «bionde»? «Ognuno di noi al supermercato sceglierebbe liberamente di acquistare un prodotto che uccide come, invece, è riportato sui pacchetti di sigarette?», replica Mangiaracina ricordando che «non si può parlare di libertà se da decenni l'industria del cinema ne è il principale veicolo pubblicitario».

L'invettiva del docente universitario non è sicuramente improntata al buonismo e chiama in causa la stessa classe medica. Gli oncologi chiedono un incremento delle accise di un centesimo a sigaretta: il gettito stimato di 720 milioni potrebbe finanziare sia le terapie anticancro sia le politiche di prevenzione. «Il tabacco dà lavoro a molti specialisti che altrimenti non sarebbero così impegnati», si inalbera Mangiaracina ricordando che «le politiche di prevenzione si fanno recuperando tre sterline a pacchetto (circa 4 euro, ndr) come accade in Gran Bretagna e non facendo gli spot con vecchi attori come Pozzetto e Frassica che andrebbero bene per lo screening della prostata». Attualmente in Italia il fondo di prevenzione è alimentato dalle multe comminate a chi non rispetta il divieto ed «è sempre uguale a zero», si lamenta il professore.

«Studi scientifici dimostrano che Paesi che hanno notevolmente innalzato il prezzo delle sigarette come Stati Uniti, Francia, e Sud Africa hanno raddoppiato le entrate fiscali connesse al tabacco», osserva Mangiaracina. Il consumo, in questi casi, è diminuito del 20% perché giovani e fasce più povere si tengono lontani dal fumo. «Inoltre - precisa - diminuiscono le spese connesse alla tutela della salute e aumenta la produttività perché le persone si ammalano di meno». Insomma, le multinazionali aumenterebbero comunque gli introiti, lo Stato pure e ci guadagnerebbe la salute. Il fumo, però, diventerebbe sostanzialmente una roba da ricchi.

O, meglio, le persone più facoltose resterebbero libere di scegliere se vivere oppure accorciare sensibilmente la propria aspettativa di vita.

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