Politica

Prove tecniche di centro con lite sulle poltrone

RomaDella serie: i centrini cascano sulle poltrone. La prima volta che Alfano parlò di riunificazione dei gruppi di Ncd, Udc e Popolari di Mauro fu a maggio: titoli sui giornali, annunci, cantiere di qua, cantiere di là. Ma poi arrivò l'estate e nisba, e poi l'autunno e nulla, e poi il 14 ottobre: «Fusione in sette, dieci giorni». Che sono passati ma del «centrone» non c'è traccia.

«Si fa, si fa», giurano ancora gli alfaniani che minimizzano il pantano in cui il progetto è arenato: «Non abbiamo avuto tempo perché abbiamo ragionato delle candidature per le regionali». E i «ragionamenti» sono finiti con uno schiaffo quando Cesa e Quagliariello si sono presentati al Nazareno a pietire la corsa unitaria con il Pd in Calabria, ricevendo un «Non se ne parla proprio». C'è ancora troppa sabbia nell'ingranaggio che doveva partorire il gruppone, salutato così da Adornato, uno che pure avrebbe dovuto farne parte: «Non c'è progetto. Per unire i moderati bisogna ragionare con Forza Italia. E neanche basta...». Problemi di linea politica? Sì, anche. Ma non solo.

Mario Mauro, presidente dei Popolari per l'Italia, giusto un paio di giorni fa dava la scossa: «Ehi! Amici, la facciamo o no la Costituente dei Popolari?». E poi ragionava così: «La cosa funziona soltanto se non è la somma delle proprie debolezze». Cosa che invece pare proprio essere. E ancora: «C'è un problema di linea politica, ovvio. La nuova cosa dev'essere ontologicamente alternativa alla sinistra e avere un rapporto con Berlusconi. Poi, con la sinistra, si può anche governare ma il dna dev'essere chiaro». Visione, questa, che provoca smorfie di dolore nelle Lorenzin e nei Quagliariello che albergano nell'Ncd, allergici ormai ad Arcore e dintorni. Un altro senatore centrista che vuole rimanere anonimo confessa: «Si rischia di fare una fusione a freddo, quindi un flop. In più: se ci si mette insieme siamo più forti in Parlamento ma calano le chances di ricandidatura di molti».

Ecco perché il progetto ha mille freni. Uno è l'Udc, partito spaccato sul da farsi. Il segretario Cesa spinge per il matrimonio ma Casini è iperscettico per motivazioni più che altro personali: ambisce più al Colle, Pier, che non a intestarsi un ruolo in un contenitore facilmente vuoto di consensi. Altri, invece, sono scettici punto e basta. Alla Camera 5 su 8 sono favorevoli all'unione con l'Ncd. Giampiero D'Alia, che dell'Udc è il presidente - mica un peone - a mischiarsi con Alfano non ci pensa proprio.

Al Senato, idem. Oltre a Casini altri due o tre senatori nicchiano. Prima questione: «Se si tratta di essere assorbiti nell'Ncd non se ne parla», ammette uno. In effetti gli alfaniani sono più numerosi e rivendicano posti. Chi fa il capogruppo, per esempio? A Palazzo Madama la poltrona è ambitissima da Schifani ma anche da Sacconi; mentre alla Camera pare ci sia già una convergenza sulla riconferma della De Girolamo. Già, ma allora all'Udc spetterebbero quantomeno i vice, provocando preoccupazioni sugli attuali numeri due alfaniani. Non solo: l'Udc sarebbe disposta a rinunciare a ruoli di primo piano in Parlamento, rivendicandoli nel partito futuro. Tipo la segreteria politica, posto ora ricoperto da Quagliariello che di farsi da parte non ci sta. Il risiko continua nell'attesa del prossimo annuncio: «Tra pochi giorni ci fondiamo». Sì, come no..

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