Cronache

Putin-Lukashenko, il giorno degli autocrati

Oggi l'incontro tra i leader. Proteste a Minsk, 250 arresti. E arrivano i parà russi

Putin-Lukashenko, il giorno degli autocrati

La repressione sempre più violenta non ferma le manifestazioni contro il dittatore bielorusso Aleksandr Lukashenko, giunte ormai al trentacinquesimo giorno consecutivo. Sono soprattutto le donne le protagoniste della protesta, attuata sabato con il metodo sudamericano del cacerolazo (pentole e padelle percosse per produrre più rumore possibile) e dichiaratamente puntata a chiedere le dimissioni di un presidente che la gran maggioranza dei bielorussi accusa di avere pesantemente truccato le elezioni dello scorso 9 agosto in cui pretende di avere trionfato con l'80% dei voti. Ieri quinta domenica consecutiva in cui migliaia di persone hanno invaso il centro della capitale Minsk con cartelli e bandiere per chiedere la fine della dittatura secondo fonti ufficiali sono state arrestate 250 persone in diversi quartieri della città, e si è assistito alle ormai consuete scene di ostentata brutalità da parte degli «Omon», la polizia antisommossa che in Bielorussia porta lo stesso nome dell'epoca sovietica, proprio come i servizi segreti che ancora si chiamano Kgb, a scanso di equivoci sulla continuità del regime.

La motivazione ufficiale per gli arresti è stata la «offensività» dei cartelli che venivano esposti dai manifestanti. Uno di questi, scritto in inglese perché fosse comprensibile da chi segue i telegiornali in Occidente, indicava a Lukashenko una meta da raggiungere senza ritorno: la città russa di Sochi, dove oggi effettivamente il leader bielorusso è atteso dal presidente russo Vladimir Putin per un incontro all'insegna della «fratellanza slava». A tale riguardo, è fin troppo chiaro che questa sbandierata fratellanza non riguarda in alcun modo i due popoli che Lukashenko e Putin pretendono di rappresentare: i fratelli in questione sono soltanto loro due, che attraverso l'uso della forza sostengono le rispettive autocrazie. Nei giorni scorsi Lukashenko aveva chiaramente avvertito Putin che, se il regime bielorusso fosse caduto sotto la pressione della piazza, il prossimo a subire lo stesso destino sarebbe stato il suo. Per questo Putin, che inizialmente sembra che avesse considerato la possibilità di accettare la sostituzione di Lukashenko per poi trattare con un nuovo leader bielorusso da posizioni di forza, si è convinto a mettere le sue forze armate a disposizione dello scomodo alleato di Minsk per puntellarne il regime: egli teme il suo popolo esattamente come Lukashenko teme il proprio.

Oggi dunque, proprio in coincidenza con l'arrivo a Sochi di Lukashenko, giungerà in Bielorussia anche un contingente di paracadutisti russi, ufficialmente per svolgere esercitazioni congiunte sempre in nome della fratellanza tra Mosca e Minsk. Si tratta, con ogni probabilità, dell'avanguardia di un'armata di occupazione che difficilmente leverà le tende.

Lukashenko potrà così conservare il potere grazie alle armi russe, ma cederà in cambio quel che restava della sua indipendenza, per non parlare di quella del suo infelice popolo.

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