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Quando Berlusconi e Tremonti prevedevano la grande invasione

Nel 2000 il centrodestra presentò una proposta di legge per il contrasto al flusso di stranieri senza controllo: buonismo e crisi del modello nazionale alla base della catastrofe di oggi

Quando Berlusconi e Tremonti prevedevano la grande invasione

È il 19 luglio del 2000. Il centrodestra sta preparando una nuova base programmatica per riprendersi il governo del Paese sotto le insegne della Casa della libertà. Alla Camera viene presentata una proposta di legge di iniziativa popolare (registrata in Cassazione agli inizi dell'anno) i cui estensori sono Silvio Berlusconi, Umberto Bossi, Giulio Tremonti e Giuliano Urbani. Come ha rivelato l'ex ministro dell'Economia a In Onda la scorsa settimana, fu lui stesso a scrivere quel testo che in nuce conteneva i principi di quella che di lì a due anni diverrà la legge Bossi-Fini per regolamentare i flussi.

Per certi versi il testo è premonitore della situazione odierna. La tesi di fondo, infatti, è che il buonismo della sinistra, la distruzione dei concetti di «nazione» e di «patria» in nome di benefici futuri («gli immigrati ci pagheranno le pensioni svolgendo i lavori più umili») siano forieri di sventure. «L'immigrazione è utilizzata come un grimaldello per rompere l'ordine sociale e per mettere le mani sul bottino elettorale» presumendo che gli immigrati non votino per il centrodestra, recita il testo. Per Tremonti & C. questo è un modello «neogiacobino» che pone le esigenze del mercato al di sopra di quello degli Stati nazionali favorendo un'immigrazione incontrollata tramite azioni di contrasto pressoché risibili e frontiere «colabrodo». Come quelle che l'Europa non riesce a difendere abbandonando Italia e Grecia al proprio destino.

Il centrodestra del 2000 (che non è dissimile da quello di oggi) proponeva una rivoluzione copernicana per affrontare la materia, basandosi su un assunto fondamentale: l'immigrazione non è «una fatalità ineluttabile», ma va prevenuta sostenendo lo sviluppo nei Paesi dove essa si origina. Insomma, tutt'altro rispetto alle boutade di Renzi che cerca di liquidare il berlusconismo come inconcludente. Il primo articolo della proposta di legge, infatti, prevedeva la deducibilità senza limiti di importo per le erogazioni liberali a favore delle iniziative di cooperazione. «Aiutiamoli a casa propria», ha detto spesso Tremonti lamentando il veto posto da una Commissione Ue poco lungimirante alla proposta di detassazione per le donazioni destinando a queste il 2% dell'Iva a livello comunitario.

Il secondo punto era lo spostamento dei costi dell'accoglienza a carico dei beneficiari, cioè delle imprese che evidenziano la necessità di manodopera extracomunitaria e degli stessi lavoratori. L'altro punto, diventato poi legge, è l'impianto sanzionatorio nei confronti sia delle organizzazioni che sfruttano l'immigrazione clandestina sia degli immigrati illegali che rientrano nel Paese dopo essere stai espulsi. Un punto che valse a Umberto Bossi e a Silvio Berlusconi pesanti attacchi di natura demagogica da parte del centrosinistra. Attacchi che si ripetono ancor oggi contro le voci critiche del centrodestra.

Perché l'Italia e l'Europa oggi sono alle soglie di una catastrofe umanitaria che rischia di mettere contro differenti gradi di povertà? Secondo le analisi di Tremonti, perché ha prevalso quel criterio neogiacobino, l'illusione mercatista che la moneta potesse moltiplicarsi ad libitum , l'utopia dell'esportabilità della democrazia sul modello McDonald's che ha sfasciato prima la Libia e poi la Siria che fungevano in qualche modo da argini. «Il diritto all'immigrazione non preesiste, si conquista», sosteneva quel Pdl. Lo sostenne pure Tremonti in un articolo pubblicato su Le Monde .

Era l'11 settembre 2001.

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