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"Quando Renzi seppe di Ashley cambiò idea sulla clandestinità"

Cosa ci faceva il senegalese ancora in Italia? Perché è stato espulso. E perché quando Renzi ha saputo che stava per essere fermato ha cambiato idea sul reato di clandestinità?

"Quando Renzi seppe di Ashley cambiò idea sulla clandestinità"

Quando la procura ha fermato il presunto assassino della 35enne americana Ashley Olsen ed è emerso che si trattava di un immigrato clandestino, Matteo Salvini non è apparso per nulla stupito. "Strano - ha ironizzato - chi l'avrebbe mai detto...". Quello che però più imbarazza è la tempistica con cui Matteo Salvini è tornato sui propri passi in merito alla depenalizzazione del reato di immigrazione clandestina. Secondo il presidente del Copasir Giacomo Stucchi, l'assassino sarebbe stato individuato ben prima che il premier Matteo Renzi decidesse di frenare sulla depenalizzazione. "Nelle ore successive Renzi e Boschi, al contrario di quanto fatto fino ad allora, indicavano come non più urgente l'abrogazione del reato di ingresso clandestino in Italia. Una coincidenza temporale che, a voler pensar male, lascia qualche dubbio...".

"Perché era ancora in Italia e nessuno l'aveva rispedito a casa sua? - si chiede il capogruppo di Fratelli d'Italia in Regione Toscana Giovanni Donzelli - tutti coloro che hanno contribuito a evitare il suo rimpatrio sono complici dell'omicidio". Cheik Tidiane Diaw, il 27enne senegalese fermato dalla polizia per l'omicidio di Ashley Olsen, era arrivato in Italia circa dieci mesi fa. Un lungo viaggio della speranza iniziato da Dakar, in Senegal, per raggiungere i due fratelli a Firenze. Prima che la polizia lo arrestasse viveva con loro in un appartamento non lontano dal centro. Un ragazzone alto un metro e 90, sorridente nei selfie postati su facebook. Ma anche capace di una violenza inaudita. La Olsen, esile, uno scricciolo di un metro e 50, appena 45 chili, non ha avuto scampo di fronte alla sua reazione incontrollata al suo "no". "Se fosse stato allontanato dal territorio, se fosse stato espulso, in quanto clandestino, oggi non saremmo qui a piangere una giovane donna uccisa e non avremmo un assassino in più in galera", commenta il senatore Roberto Calderoli invitando "quelli che a sinistra strepitano per chiedere l'abolizione del reato di clandestinità" a "riflettere bene".

Prima di commettere l'omicidio Cheik era riuscito a non farsi notare troppo. Incensurato, praticamente sconosciuto alle forze dell'ordine. L'unica traccia negli archivi risale allo scorso dicembre, quando è stato identificato nel corso di un intervento per una rissa fuori da un locale. Ultimamente si guadagnava da vivere distribuendo volantini pubblicitari delle discoteche. Un lavoretto che gli aveva procurato il fratello maggiore, regolare in Italia, "buttadentro" per alcuni locali. "Non ci si venga a dire che siamo razzisti o xenofobi, perché non lo siamo assolutamente - tuona il coordinatore fiorentino di Forza Italia, Marco Stella - qui si tratta di rispetto della legge e delle norme sull'immigrazione". In Italia, però, la legge non viene mai fatta rispettare. Anzi, viene comodamente usata a seconda delle necessità politiche. Tanto che il leghista Paolo Grimoldi fa notare come sabato pomeriggio, quando la procura ha iniziato a far luce sulle responsabilità di Cheik Tidiane Diaw, "Renzi abbia cominciato a indicare come non più urgente l'abrogazione del reato di ingresso clandestino in Italia". Anche perché il senegalese è stato sentito dagli inquirenti solo la domenica mattina. Secondo Grimoldi, Renzi avrebbe cambiato idea dopo essere stato informato sulla piega che stava prendendo l'indagine: "Con questo terribile fatto di sangue, accaduto proprio nella sua Firenze, e con un immigrato clandestino come principale indiziato, l'idea di portare in Consiglio dei Ministri l'abrogazione del reato di clandestinità cominciava a rivelarsi un pericoloso boomerang a livello mediatico. Figuriamoci le polemiche che sarebbero scoppiate"

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