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Quei 20 parlamentari grillini che decidono la legislatura

Le trame del Capitano: dobbiamo portarli dalla nostra parte per sfaldare l'esecutivo e poi andare alle urne»

Quei 20 parlamentari grillini che decidono la legislatura

È la prima indicazione che Matteo Salvini ha dato al suo «inner circle» dopo il trionfo nelle regionali in Umbria. Un ordine che è figlio di una pianificazione ben studiata per raggiungere l'obiettivo prioritario a cui il leader della Lega è pronto a sacrificare tutto: le elezioni. «C'è un solo modo per andare al voto ha spiegato ai suoi l'ex ministro dell'Interno nella notte tra domenica e lunedì, mentre le proiezioni nei talk-show televisivi delineavano la vittoria del centrodestra ed è quello di portare una ventina di parlamentari grillini dalla nostra parte, magari promettendogli posti in lista. Altrimenti dentro i gruppi parlamentari 5stelle, nelle condizioni in cui sono, saranno sempre pronti a sostenere qualsiasi governo. Per cui cominciamo con le acquisizioni, apriamo le porte». Una mossa che il numero Uno del Carroccio aveva messo in cantiere da tempo, proprio in vista del successo umbro. Nell'ultima assemblea dei gruppi parlamentari di giovedì scorso aveva, infatti, esordito rivolgendo a Renzi e a Conte lo stesso «complimento» che molti dedicano a lui: «Sono due megalomani». Poi, passando alle cose da fare, aveva spiegato: «Ora la partita è andare al voto. Per riuscirci bisogna sfaldare la maggioranza, lavorando in silenzio: tant'è che se qualche grillino è venuto o verrà a prendere un caffè con me, voi lo saprete solo a cose fatte». Ragionamento chiosato dal vicesegretario Andrea Crippa, sposando realismo e speranza: «È un wishfull thinking, ma a volte le speranze si avverano». E, comunque, per dare un aiutino alla Dea «speranza» proprio, non si sa mai, in quella sede Salvini aveva investito Gian Marco Centinaio del compito di monitorare lo stato d'animo dei senatori 5stelle più affini alla Lega.

In fondo, come in una partita a scacchi, i giocatori, almeno quelli più avvertiti, sanno che l'unico meccanismo che potrebbe aprire la strada alle urne, è una frana dei gruppi parlamentari grillini, che determini una fuoriuscita a destra. Un'ipotesi che nel caos che regna nell'universo 5stelle è tutt'altro da scartare. Confida il sottosegretario all'Economia grillino, Alessio Villarosa: «Il Pd deve capire per il futuro che una delle peculiarità del Movimento è il suo trasversalismo. Noi possiamo governare insieme, ma non possiamo essere vincolati e imprigionati in un'alleanza. Altrimenti si provoca una reazione opposta: è successo in Umbria; potrebbe succedere nei gruppi parlamentari. C'è il rischio che qualcuno tra noi vada con Salvini. Ora è troppo presto per dirlo, ma dopo l'approvazione della legge di Bilancio, il rischio c'è, eccome! È reale! Io non mi meraviglierei, ne ho già viste di tutti i colori». «Da quando è nato il governo ammette un altro grillino, Alessandro Amitrano i deputati leghisti ci approcciano ogni giorno, dicendoci: Vieni con noi girerai il mondo!».

Un pericolo che pure gli altri soci della maggioranza hanno avvertito. «Il problema ha ammesso lo stesso Matteo Renzi con i suoi sono proprio quei parlamentari grillini tentati dalla Lega. Non credo che siano più di una decina. Solo che se Zingaretti continua a parlare di elezioni... dimenticandosi che se si fosse votato insieme all'Umbria anche per le politiche, Salvini ci avrebbe asfaltati tutti rischiamo. Aver fatto questo governo, con buona pace degli strateghi moralisti e di chi ci rinfaccia l'assenza di coerenza, ci ha salvato. E se si vuole arrivare al 2023 bisogna aprire subito le porte di Italia viva a chi vuol venire da Forza Italia o dai 5stelle».

Appunto, è il momento della «politica delle porte aperte». Al solito Matteo S., da una parte, e Matteo R., dall'altra, sono gli unici ad essere sul «pezzo», ad essere consapevoli della «fase»: si conoscono e ognuno anticipa o, comunque, comprende la «ratio» della mossa dell'altro. Gli altri, invece, vagano. In primis Zingaretti, che ieri, appunto, è tornato a «vagheggiare» le elezioni anticipate in chiave anti-Renzi, spalleggiato da Goffredo Bettini e da Andrea Orlando. «Se Renzi sabota questo governo per averne un altro è il monito di quest'ultimo - sbaglia: se cade Conte a marzo, si va al voto». Una posizione speculare a quella di Salvini, solo che mentre quest'ultimo le elezioni le vincerebbe, Zingaretti le perderebbe. Dando corpo, paradossalmente, a una prospettiva simile, in ruoli capovolti, a quella di quest'estate: solo che mentre allora il pazzo fu Salvini, visto che aprì la crisi senza avere la sicurezza delle urne; in questo caso il folle sarebbe Zingaretti, che dopo essersi caricato della responsabilità di una manovra tutt'altro che entusiasmante, sceglierebbe l'opzione voto. In una battuta andrebbe in onda il remake di un film comico di successo: «Scemo più scemo».

Non per nulla non sono pochi quelli che si sono interrogati su quale logica nasconde, a parte la revanche su Renzi, la sortita di Zingaretti. Invano. «È fuori fase sospetta Stefano Fassina - : prima ha paventato l'ipotesi di una legge elettorale maggioritaria; poi, l'alleanza strutturale con i grillini nel momento sbagliato». «Spero che Zingaretti capisca osserva Federico Fornaro, capogruppo di Liberi e uguali che le elezioni umbre sono il de profundis per una legge elettorale maggioritaria, sempre che nel Pd non vogliano cambiar mestiere. Debbono mettersi in testa che due secchi riempiono meglio di uno». «Il rischio delle elezioni ammette l'azzurro Gianfranco Rotondi - è alto. Solo che se Zingaretti le provoca il Pd sparisce, imbocca la parabola del Partito socialista francese». «Il problema sintetizza Fabio Rampelli di Fratelli d'Italia è che quello non è il posto di Zingaretti, ci si è trovato per caso: non sapevano chi fare e hanno fatto lui segretario». E pure nel Pd c'è chi inarca il sopracciglio. «Non ha capito si lamenta Matteo Orfini - il trasversalismo dei 5stelle; e continua a ipotizzare una legge maggioritaria che sarebbe letale per il Pd». E chi, invece, come il sottosegretario all'ambiente, Roberto Morassut, per carità di Patria tenta di minimizzare: «La minaccia di elezioni di Zingaretti è solo di facciata. E alla fine si opterà per un proporzionale con una soglia di sbarramento».

Insomma, alla fine la realtà busserà anche alla porta del segretario del Pd. Restano gli errori commessi in questa sconfitta «annunciata». «Ma come si può tastare un'alleanza tra Pd e grillini è l'analisi critica che Renzi ha condiviso con i suoi in una partita già compromessa. Non lo dico con acrimonia, ma la foto di gruppo con Conte, che ha dimostrato di avere il tocco magico solo per i giornali, alla vigilia di un insuccesso, è stata una scelta allucinante. Si sono comportati da d.a.s., dilettanti allo sbaraglio. Magari, però, quanto è avvenuto susciterà una riflessione nel Pd sulla legge elettorale e sulle alleanze.

E forse - qualche coraggioso inizierà a dire che non è sempre colpa del sottoscritto».

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