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Quei cortei senza operai: gli immigrati in prima fila

Fino a pochi anni fa sfilavano manovali e tute blu Ora non si sentono più rappresentati dai sindacati

Quei cortei senza operai: gli immigrati in prima fila

L'immagine non sorprende, ma fa riflettere. L'Italia è diversa e i sindacati pure, così il Primo maggio 2017 fotografa una realtà su cui spesso non ci soffermiamo: il cambiamento sociale. Rapido e inarrestabile. Certo, per i cultori della società multietnica sono passi verso il paradiso del progresso, un'opinione rispettabile ma non per questo condivisibile. Vedere la prima fila del corteo di Milano, in occasione della Festa del Lavoro, composta totalmente da lavoratori extracomunitari lascia interdetti. In passato ci eravamo abituati a veder sfilare le tute blu della Fiat, della Breda, dell'Ilva e di tante altre realtà operaie e industriali italiane. Sono solo un ricordo. Eppure i lavoratori italiani sono ancora tantissimi, anzi la stragrande maggioranza: sono oltre 22 milioni gli occupati in Italia (tra lavoratori dipendenti e autonomi) tra i quali gli stranieri sono poco più di due milioni. Un numero corposo ma parliamo del 10 per cento della forza lavoro. Per quanto in molti distretti industriali la manodopera dei migranti sia una realtà consistente, la media nazionale rivela che nove lavoratori su dieci sono italiani. Ma, a guardare le immagini del corteo del Primo maggio, le proporzioni sembravano opposte, anche se oltre un milione di stranieri è iscritto al sindacato.

Ma forse c'è un altro motivo, senza bisogno di scomodare il passato. Tra quel 90 per cento di lavoratori italiani ve ne sono pochi che desiderino sfilare in corteo sotto i vessilli sindacali e, men che meno, che vogliano marciare in prima fila. Forse perché sono disillusi e delusi dai sindacati italiani che, in questi anni, non hanno fatto niente di più che avventurarsi in qualche conflittualità politica, mostrando di essere più partiti che associazioni di lavoratori. E molto spesso sono impegnati più a difendere i privilegi che a tutelare i diritti. Certo, in questa congiuntura economica e con il mercato del lavoro anoressico non c'è grasso che cola ma allora, a maggior ragione, dovrebbero tornare a essere rivoluzionari e proporre ricette che siano al passo con i tempi. Per esempio, è inutile arroccarsi sull'articolo 18 per difendere posizioni anacronistiche, quando da anni l'unica nuova occupazione è il cosiddetto precariato. Come accade nel pubblico impiego, dove i dipendenti a termine guadagnano la metà rispetto a uno assunto a tempo indeterminato, ma senza la tutela del posto fisso. Un controsenso, una vergogna di cui sono corresponsabili i sindacati, che hanno piantato i piedi solo per difendere chi è già garantito, il quale talvolta può anche permettersi di essere un fannullone senza temere alcunché.

Detto questo, non vi è nulla di strano né di sorprendente se il Primo maggio i lavoratori extracomunitari sfilano in corteo, ci mancherebbe. Ma quella prima fila ha tanto il sapore della resa dei lavoratori italiani. Certo, meglio questa immagine di quella vista a Trieste, dove nel corteo sventolavano le bandiere con la stella rossa dei partigiani titini. Più che una festa del Lavoro, qualcuno ha preferito celebrare l'anniversario della sanguinosa occupazione jugoslava di Trieste, cominciata il Primo maggio 1945. Per qualcuno il tempo si è fermato assieme ai propri neuroni. Qualcun altro invece pensa di anticipare i tempi. I sindacati forse sono convinti che questa metamorfosi possa garantirgli un futuro.

Può darsi che non abbiano tutti i torti (a guardare i rapporti dell'Istat, se non vi saranno inversioni di tendenza, gli stranieri in Italia saranno oltre 20 milioni entro il 2065).

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