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Quei leader rampanti con il fardello di genitori ingombranti

Di Maio, Renzi, Di Battista: hanno rottamato tutti tranne i padri chiacchieroni e disinvolti

Quei leader rampanti con il fardello di genitori ingombranti

Roma - Non veniamo su dal nulla, e vedere il vecchio Laio ciclicamente uccidere (o rischiare di uccidere) Edipo è un rovesciamento che inquadra i nostri tempi, spiega la vacuità del «come siamo» ricorrendo di continuo al «da dove veniamo».

Radici che crescono all'ingiù, alla rovescia, che trascinano con sé i personaggi delle seconde e terze Repubbliche. Ma forse non si tratta che della maledizione che aleggia dalla caduta della prima, di Repubblica. Tanto è vero che i papà di cui parliamo sono legati mani e piedi a un mondo oggi arduo da spiegare ai giovani, per quanto sembra alieno. Tiziano Renzi dirigente locale della Dc; Antonio Di Maio missino di ferro anche se non fa carriera; Vittorio Di Battista nei secoli fedele al Duce: non quello del regime, bensì l'avanguardista avventato della prim'ora. Così sciaguratamente si muove pure papà Di Battista, «caro» alle cronache per le sue frasi impertinenti, e persino indagato per un post su Mattarella, capace di andare fin sotto la barca di D'Alema nella baia di Paleokastritza a Corfù - «Alessa' vieni pure tu! Papà ma a fa' che? Tu vieni e vedrai» - per dirgliene quattro sul muso: «Vecchio porco - gli disse -, la gente non pò magna' e tu sei qui a fa' la vita del miliardario. Delinquente!». E nella ritrosia che si fa vincere del giovane Alessandro c'è tutta l'arrendevolezza di questi «bamboccioni» sbocciati a quarant'anni. Bamboccioni di successo, almeno se (o fino a quando) non ci si mette di mezzo quella testa calda di papà, quel trafficone impenitente, quell'enigma vivente borderline di babbo. Luigi Di Maio sembra seguire un'altra linea, rispetto al caliente Dibba che l'altro giorno ha giustificato quel «fascistone» di Vittorio («mai conosciuto un fascista più liberale», ha detto, facendo rivoltare nell'ossimoro ignorante il Duce e, forse, pure papà).

No, Luigi sangue di ghiaccio, in linea con i geni che raccontano di un padre assai impettito e molto silente, sembra quasi scaricarlo, papà e tutti gli avi. Tempo fa ebbe a dire, con quel suo sorriso che scivola via senza peso: «Non facciamo ricadere le colpe dei nonni sui nipoti». Aveva appena scaricato il peso di un altro abuso edilizio sulla famiglia, così come ieri è sembrato prendere le distanze da un babbo con il quale «non parlavo da tempo». I rapporti non proprio idilliaci, in famiglia Di Maio, erano per la verità già venuti fuori, al punto che Luigi s'era visto costretto a spiegare che la «visione della politica» di papà «era legata ai vecchi partiti e questo creava conflitto». Versione forse un po' troppo imbastita e impettita, per essere del tutto vera, considerato che ribellarsi al padre, in adolescenza, più che normale è consigliabile (per la crescita). Ma qui siamo a una crescita ritardata, nella quale non v'è stata vera ribellione forse, bensì solo un freddo ritagliarsi di autonomia e fatti propri. Magari ripercorrendo strade già praticate (o tentate) da babbo. Brandelli di storie familiari visti mille volte. Comunque non digeribili con faciltà, e sempre vissute con imbarazzo. Basti ricordare la celebre telefonata di Matteo premier a babbo Renzi, prima dell'interrogatorio per l'affare Consip. Infuriato, lo scuote: «È una cosa molto seria! Devi ricordarti tutti gli incontri e i luoghi, non è più la questione della Madonnina e del giro di merda di Firenze per Medjugorje! Non ti credo!». Sbotto d'ira comprensibile, visto che il futuro era finito nelle mani più insicure che si potesse mai immaginare.

Sorpresa delle sorprese, quelle di papà.

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