Cronache

Quei profughi a vita. Se lo status di rifugiato diventa una professione

Gli eritrei sgomberati a Roma sono in Italia da decenni col permesso da richiedenti asilo

Quei profughi a vita. Se lo status di rifugiato diventa una professione

Professione: richiedente asilo. «Io sono arrivata dall'Eritrea nel 93 dice una delle occupanti abusive sgomberate dalla polizia. Ventiquattro anni fa, ventiquattro anni in Italia da richiedente asilo, un status provvisorio (il permesso di soggiorno ha una durata di un anno, rinnovabile) che diventa a vita. «Io 13 anni qua Italia, asilo politico» risponde un'altra eritrea intervistata da RepubblicaTv, «loro si prendono i soldi a noi, anche per la bambina, loro ricchi con noi, ricchi!» dice la donna riferendosi forse al racket tra immigrati: vuoi un letto abusivo nel palazzo occupato? Paghi. «Vogliamo i nostri diritti di rifugiati» grida un altro al megafono, e insomma se sgombrano gli etiopi ed eritrei dal palazzo occupato abusivamente da ben quattro anni (una di loro dice di abitarci proprio da quattro anni), ora è lo Stato italiano che deve dargli un'altra casa. «Loro accettano come rifugiati non è colpa nostra tutto casino, loro accettano noi rifugiati, ci danno il documento ma poi non fanno niente per noi, tutte bugie» si lamenta un'altra occupante.

Il succo è: perché le Questure accettano le domande di asilo politico (avviene in una percentuale minima, l'8% a luglio secondo i dati del Viminale) se poi non gli garantiscono casa e tutto il resto? La colpa, insomma, è dell'Italia che li accetta e poi se ne occupa più, dicono gli ex inquilini abusivi in piazza Indipendenza. Dentro il palazzo, come mostra un video girato mesi fa da Rete Zero, si vedono appartamenti ben accessoriati: tv al plasma, decoder, frigoriferi, microonde, macchinette del caffè. «Il governo ci paga solo l'acqua e l'elettricità» dice al giornale.it Adhaniom Alem portavoce della comunità. Il gas no, ecco perché le bombole brandite contro gli agenti della polizia.

Per la verità, lo status di rifugiato non assegna agli stranieri a cui viene riconosciuto dei diritti in più rispetto agli italiani (ad esempio non è previsto il diritto di occupare una casa con luce e acqua pagati dallo Stato). Nella scheda informativa delle Prefetture, alla domanda «cosa succede in caso di riconoscimento», dopo le spiegazioni pratiche sul documento che verrà rilasciato, si legge infatti: «Avrai tutti i diritti e sarai soggetto agli stessi doveri dei cittadini italiani, con esclusione di quelli che presuppongono la cittadinanza italiana (esempio, il diritto di voto, la partecipazione a concorsi per l'accesso ai pubblici impieghi, ecc.)». Diritti e doveri come gli italiani, punto. In più però hanno un sussidio, che viene erogato alle cooperative dagli enti locali che decidono di partecipare al bando Sprar (Sistema di protezione e accoglienza per rifugiati e richiedenti asilo), per coprire le spese di gestione del rifugiato, i famosi 35-40 euro al giorno, compreso qualche euro che va direttamente al migrante, come spiega a Internazionale Daniela Di Capua, direttrice del servizio centrale Sprar: «Solo una quota residua viene data direttamente a loro, si tratta del pocket money, pochi euro per le piccole spese quotidiane. Queste risorse fanno parte di un fondo ordinario del ministero».

Quando non gli si permette di prendere possesso per anni di un palazzo in centro a Roma, le prefetture si adoperano per trovare alberghi, case sfitte, strutture disponibili per metterci dentro i richiedenti asilo e mantenerli con vitto e alloggio. Non sempre gradito, peraltro. «Ci danno pastasciutta a colazione, pranzo e cena» dichiara insoddisfatto del menù Osayi, ospite di un centro a Cona, provincia di Venezia.

Tutto diverso dalla Germania, dove si richiede ai profughi «frequenza a corsi di lingua, cultura e legislazione tedesca, con regolari verifiche dell'apprendimento, e per chi non adempie c'è il ritiro progressivo dei benefici».

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