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Quei taglialingue che vogliono zittirci contro i tagliagole

Non esiste il reato di "islamofobia" che ipotizza l'Ordine dei giornalisti. Il diritto di critica è cruciale per arginare l'avanzata estremista in Italia

Quei taglialingue che vogliono zittirci contro i tagliagole

Può sorprendere, commuovere o scandalizzare il fatto che gli italiani si preoccupano di salvaguardare più i valori e le regole fondanti della nostra civiltà, che non il denaro e il lavoro che determinano la condizione socio-economica. Mentre risulta oscillante il livello di attenzione sui singoli aspetti che connotano la drammatica crisi economica, dall'euro alle tasse, dal lavoro alle pensioni, è invece costante e tendenzialmente crescente la denuncia dell'invasione dei clandestini, la protesta per la discriminazione degli italiani nei confronti degli immigrati, l'indignazione per la proliferazione delle moschee e la paura del terrorismo islamico. Una spiegazione razionale c'è. La crisi economica e il cambio della classe politica si possono risolvere, sono processi reversibili. Ma se perdessimo il controllo del territorio e cessassimo di essere padroni a casa nostra, se rinunciassimo all'uso della ragione per buonismo o viltà e ci sottomettessimo alla dittatura islamica, perderemmo definitivamente la nostra anima, i valori inalienabili alla vita, dignità e libertà che sostanziano l'essenza della nostra civiltà, sarebbe un processo irreversibile.

Non perdiamo la testa - Il dovere di difenderci dalla violenza dell'islam, il saggio scritto dalle migliori firme del Giornale e disponibile in edicola da domani, si fa interprete di questa realtà denunciando in modo inequivocabile il tentativo di imporci il divieto di criticare l'islam come premessa alla capitolazione della nostra civiltà.

L'aspetto più preoccupante in questa guerra scatenata dal terrorismo islamico su vari fronti e con strumenti diversi, a secondo della convenienza rispetto all'obiettivo di sottometterci all'islam, è la presenza di una quinta colonna dentro casa nostra formata da convertiti consapevoli e da collusi irresponsabili. Tra questi ultimi figura l'Ordine nazionale dei giornalisti che ha fatto propria la strategia islamica di tagliarci la lingua accreditando lo psicoreato di «islamofobia». Ho l'onore di essere il protagonista di questo inedito processo in cui, secondo l'Ordine dei giornalisti, sarei colpevole perché ho fatto «affermazioni di carattere generale sulla religione islamica e coloro che la osservano». L'avvocato Gabriele Gatti, del Foro di Roma, nella memoria difensiva depositata venerdì scorso, chiede categoricamente «l'archiviazione del procedimento disciplinare poiché improcedibile, inammissibile e, comunque, infondato nel merito». Dopo aver evidenziato le ragioni di inammissibilità procedurali e comportamentali dell'avvocato della causa islamica, Gatti denuncia che «sorge il dubbio che la sua non sia una battaglia per la legalità e il laicismo dello Stato, bensì per eliminare - in senso figurato (ovviamente) - Magdi Cristiano Allam, considerato non un avversario bensì un nemico, un nemico che non deve parlare. La finalità dell'esposto ci sembra evidente e ci stupisce che il Consiglio dell'Ordine si presti a tali manovre». Al riguardo Gatti spiega che «chi critica l'islam nei paesi musulmani viene eliminato o imprigionato, nei paesi occidentali viene “tenuto occupato” in svariati giudizi civili e penali per spingerlo a desistere». È la strategia islamica ribattezzata Jihad by Court, Guerra santa islamica per via giudiziaria. Gatti boccia come «antigiuridica e illogica» la tesi secondo cui criticando l'islam come religione si oltraggerebbero i musulmani moderati perché «è il moderato che tende a non offendersi, mentre è l'estremista che si agita e protesta». Sul punto focale della liceità o meno della critica all'islam, Gatti spiega che nell'articolo 19 della Costituzione «il bene tutelato non è mai la religione in sé ma i singoli cittadini nei confronti dello Stato». Se così non fosse si violerebbe l'articolo 21 sulla libertà di opinione. «La fede religiosa è tutelata dalla Costituzione come liberamente professabile ma non come bene in sé per sé da difendere dalle critiche o dai dissensi», precisa Gatti, «o peggio ancora dal dibattito anche aspro (in negativo)!». Ebbene Non perdiamo la testa è sia la denuncia della strategia dei tagliagole che imperversano sull'altra sponda del Mediterraneo sia l'appello a salvaguardare il diritto alla libertà di critica per impedire che a casa nostra prevalgano i taglialingue.

Facebook.com/MagdiCristianoAllam

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