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Quell'apocalisse quotidiana che fa tremare la California

Secondo gli esperti di geologia il tanto atteso e temuto Big One potrebbe arrivare entro breve e sarà devastante. E non è solo il solito allarmismo Usa

Quell'apocalisse quotidiana che fa tremare la California

«È come un bubbone pronto a esplodere. O come una molla compressa al massimo, cui basta un nonnulla per liberare tutta la sua energia». La sola cosa che tuttora si ignora, come succede con i terremoti nelle zone ad alto rischio sismico è «quando» accadrà. Non «se». Un po' come in Sicilia, lungo la costa che va da Messina a Catania, dove i sismologi di casa nostra prevedono uno tsunami che prima o poi farà tabula rasa di tutte quelle case, migliaia e migliaia, costruite a ridosso della spiaggia.

In California, nel sud della regione che galleggia sopra la «Faglia di San Andrea» lo sanno da sempre. Ma sentirselo ripetere con quella sua aria di serena certezza dal professor Thomas Jordan, direttore del centro per i terremoti della California del Sud, ha azzerato la salivazione a molti, fra quanti lo stavano ascoltando mercoledì a Long Beach, alla Conferenza nazionale sui terremoti. Come sentirsi dire che l'orchestra ha già accordato gli strumenti, e che all'opening del ballo sul Titanic non manca molto. Dopo di che, a conferenza finita, tutti si sono alzati e hanno puntato sul buffet, ingozzandosi di tartine e facendole seguire da un paio di drink. Un po' per dimenticare. E un po' perché siamo fatti così, per fortuna. E perché senza una certa dose di fatalismo nessuno uscirebbe neppure di casa, la mattina, restandosene in poltrona con una pezza fredda sulla fronte.

L'ultima volta, in California, fu nel 1857. Uno scossone di magnitudo 7.9 che creò una frattura lunga quasi trecento chilometri, dalla contea di Monterey fino alle montagne di San Gabriele, vicino Los Angeles. Stavolta sarà peggio. E a farglielo temere, ha detto il professor Jordan, è il gran silenzio, un silenzio tellurico più inquietante di cento piccole scosse, che i pennini dei sismografi registrano. «C'è troppa quiete, troppo silenzio. Non mi piace per niente». Altri settori della grande Faglia di San Andrea sono in una sorta di sinistro stallo. Laggiù, a sud est del Cajon Pass, così come nella Contea di San Bernardino, la grande crepa sotterranea è silente dai tempi del terremoto del 1812, mentre ancora più giù, a sud est, verso il mare di Salton, non si avverte una scossa da tre secoli circa. Meglio, no? Verrebbe da dire. E invece è proprio questo, paradossalmente, il problema. C'è troppo silenzio. Ma che il Ciclope si sveglierà, questo è sicuro.

Il calcolo, per gli scienziati, è presto fatto. Misurando la velocità di spostamento della placca tettonica del Pacifico, in movimento verso il continente Nord americano, si dovrebbero registrare eventi sismici di maggiore o minore rilevanza almeno ogni secolo. E invece sono più di cento anni, ormai, che la Faglia di San Andrea non registra movimenti significativi. «Come un elastico tirato fino all'eccesso, che prima o poi...», commenta sconsolato il professor Jordan. Fosse stato uno scienziato italiano, memore di letture classiche, avrebbe detto che «corda che troppo è tesa, spezza se stessa e l'arco».

Che fare? Niente. Aspettare. Perché quando The Big One verrà, avrà una potenza distruttiva di magnitudo 8. E si vedranno scene di fronte alle quali impallidiranno perfino gli sceneggiatori di film come «The day after», o «Independence day», ma senza alieni di contorno.

Nel frattempo, raccomandano i sismologi riuniti a congresso a Long Beach, bisogna insistere perché nei piani regolatori si adottino e si incrementino le misure antisismiche già previste dai severi regolamenti varati dalla Giunta del sindaco di Losa Angeles Eric Garcetti. E poi incrociare le dita, sperando nella fortuna, e nel buon Dio. Ma bene che vada, secondo un report della Società Geologica americana del 2008, un terremoto di magnitudo 7,8 scatenato dalla faglia di San Andrea provocherebbe intorno ai 2 mila morti, 50 mila feriti e 200 miliardi di dollari di danni, con il sistema fognario fuori uso per almeno sei mesi. Da allora, le simulazioni al computer si sono succedute, innescando una sorta di gara crudele a chi la spara più grossa. Ma in California, come in Giappone, in Iran e negli altri Paesi a rischio, compreso il nostro, la gente non ci fa più caso. Verrà quando verrà. Ci saranno i morti, i feriti, ma poi passerà anche questa. E si ricomincerà, ricominceremo da capo, come si è sempre fatto.

Basta farsi una passeggiata a Pompei o a Ercolano per concludere che solo un pazzo sarebbe tornato a costruire case, scuole, ospedali alle falde del Vesuvio. Bene: mancate molto da Napoli e dintorni?

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