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Quelle trame contro l'Italia dietro la vendita dei derivati

Nel 2011 Deutsche Bank scommise 1,4 miliardi contro il nostro debito. Poi scatenò la crisi finanziaria che costrinse Berlusconi a dimettersi

Quelle trame contro l'Italia dietro la vendita dei derivati

Avevamo ragione noi, fin da quel lontano 2011, ancorché ignorati, derisi, combattuti. Oggi la verità sta venendo a galla. I problemi dell'Europa, soprattutto nel mondo del credito, nascono da quello sempre occultato e sempre negato dei troppo numerosi contratti derivati nascosti nei portafogli delle banche tedesche. Lo scrive in un suo studio perfino il ministero dell'Economia: «Le banche di altri Paesi sono molto più esposte di quelle italiane su quegli strumenti derivati da cui ha preso le mosse la crisi finanziaria tra il 2007 e il 2008, per poi contagiare il comparto del debito sovrano e l'economia reale». Frase evidenziata in grassetto.

Più volte abbiamo denunciato la clamorosa vendita di titoli di Stato italiani, per un importo pari a 7 miliardi di euro su 8 miliardi allora in bilancio (-88%), che la principale banca tedesca, Deutsche Bank, effettuò tra gennaio e giugno 2011, innescando così un meccanismo folle che presto spinse le istituzioni finanziarie degli altri Stati a fare lo stesso. Ebbene, scopriamo oggi, dalle carte della procura di Trani che indaga su Deutsche Bank, che, come se non bastasse, in quello stesso periodo la banca sottoscrisse 1,4 miliardi di credit default swap a fini di «copertura» sul «rischio Italia». La pistola fumante.

Deutsche Bank, cioè, prima scommise contro il debito sovrano italiano, comprando i Cds, e poi ne scatenò la crisi, vendendo i nostri titoli di Stato. Bel comportamento da irresponsabili.

Ecco come è nata la tempesta perfetta. Le operazioni della principale banca tedesca hanno creato panico sui mercati, ma soprattutto aumento della domanda di Bund tedeschi, che da allora cominciarono ad essere considerati l'unico bene rifugio in Europa, e corrispondente aumento del prezzo e riduzione del rendimento (le due grandezze sono inversamente proporzionali). È stato così che nell'estate-autunno del 2011 lo spread tra i titoli di Stato emessi dalla Germania e i titoli equivalenti emessi dagli altri Paesi europei, soprattutto del «Club Med», è aumentato vorticosamente.

Ma perché Deutsche bank l'ha fatto? È presto detto: tra febbraio e maggio 2011, c'era stata calma piatta sui mercati. I rendimenti dei titoli decennali tedeschi erano stabili attorno al 3,28%, livello massimo degli ultimi anni, e stabili erano anche i rendimenti dei Btp italiani, tra il 4,73% e il 4,84%, con 150 punti base circa di differenza (spread).

Calma piatta, ma con un'avvertenza: i rendimenti dei titoli del debito pubblico della Germania erano su una curva ascendente, in ragione non tanto dei problemi della finanza pubblica, quanto di quelli della finanza privata: le banche tedesche, imbottite di titoli tossici e di derivati, e oggettivamente a rischio.

La reazione, alla luce di quello che è successo, è stata geniale, cinica e irresponsabile al tempo stesso: la finanza privata tedesca, probabilmente con l'appoggio implicito del proprio governo, ha trasferito la crisi potenziale del suo sistema bancario sui paesi più deboli dell'Eurozona. Come? Vendendo e dando indicazioni generalizzate di vendita dei titoli del debito sovrano, prevalentemente greci, italiani e spagnoli, sul mercato secondario, al fine di aumentarne i rendimenti sul mercato primario.

Molto probabilmente, la strategia tedesca, più o meno concertata, mirava unicamente a un riequilibrio dei rendimenti, per riportare il Bund sotto il 3%. Ma, dati i tempi, l'operazione ha finito per sfuggire di mano, provocando il disastro.

La crisi che ha sconvolto l'intera Europa dal 2011, quindi, non nasce tanto per la debolezza dei conti pubblici greci, quantitativamente piccola cosa, bensì per la debolezza delle oscure, rischiose, pericolose banche tedesche, ben tutelate dal governo di Angela Merkel, ma non solo (si pensi anche alla Francia). La narrazione che in questi anni è stata fatta della crisi e le ricette «sangue, sudore e lacrime» che ne sono derivate e che hanno distrutto le economie dei paesi dell'Eurozona, non sono state altro che la foglia di fico voluta dalla Germania per nascondere la verità.

E la proposta, che circola negli ultimi mesi, del governatore della Banca centrale tedesca, Jens Weidmann, e del ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schäuble, di introdurre un tetto all'ammontare di titoli del debito sovrano del proprio paese che le banche possono detenere in portafoglio, non è altro che la continuazione dello stesso disegno: nascondere le nefandezze delle banche tedesche puntando l'indice, quasi razzista, su quelle degli altri Stati.

È così, infatti, che è andata nella definizione dell'unione bancaria dell'area euro, quando proprio su richiesta-ricatto tedesca sono state escluse dal perimetro di vigilanza della Bce gli istituti regionali le Landesbanken e le casse di risparmio le Sparkassen dove in Germania si annida la più alta opacità e la più alta compromissorietà tra credito e potere politico locale.

Ed è così anche che nella direttiva sul bail-in, che noi italiani conosciamo bene e di cui portiamo ancora le ferite, sono state consentite particolarissime eccezioni alle banche le cui insolvenze derivavano da grosse perdite su derivati. E, guarda caso, sono proprio gli istituti di credito tedeschi quelli che più ne hanno beneficiato, in quanto pieni di derivati nei loro portafogli.

Da qui, infine, ultimo in ordine di tempo, anche lo studio del ministero dell'Economia e delle finanze italiano, che abbiamo citato sopra. E se lo scrive il Mef, implicitamente lo dice Renzi.

A questo punto, per uscire finalmente dalla crisi c'è una sola strada: la crescita. Cioè tornare al primo, vero Trattato di Maastricht del 1992 e buttare a mare il Patto stabilità che lo ha modificato nel 1997. Patto di Stabilità, tra l'altro, illegittimo, come ha dimostrato il professor Giuseppe Guarino, in quanto costituito da due Regolamenti che, essendo di rango inferiore ai Trattati, non avevano la forza giuridica di modificare Maastricht.

Tornare a Maastricht significa recuperare la lezione di Guido Carli. Fu su proposta dell'allora ministro del Tesoro, infatti, che nel testo del Trattato fu inserita una clausola che, con riferimento ai parametri fissati, consentiva agli Stati «di tenere conto della tendenza ad avvicinarsi al valore di riferimento e di eventuali cause eccezionali o temporanee di scostamento da quei parametri».

Significava che gli Stati che non rispettavano i «paletti» di Maastricht non dovevano realizzarli attraverso un piano di rientro a tappe forzate che avrebbe richiesto misure di politica economica restrittive, bensì adottando politiche virtuose che comportassero miglioramenti progressivi.

Il Patto di stabilità del 1997 (e le modifiche successive) ha illegittimamente cambiato proprio questo punto fondamentale del Trattato, inviso ovviamente ai tedeschi, in quanto contrario alla loro dottrina calvinista e alla loro ossessione nei confronti dell'inflazione.

L'eccesso di rigidità dei parametri ha, pertanto, prodotto l'effetto opposto rispetto all'obiettivo per cui era stato pensato Maastricht. Così facendo, infatti, è stato dato un segnale alla speculazione e ai mercati, che si sono scatenati a scommettere sulla prevedibilità del non rispetto di quei «paletti», considerati troppo rigidi e per questo irrealizzabili. Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti, soprattutto negli ultimi anni. Lo stesso meccanismo potrebbe scattare con l'introduzione del tetto ai titoli di Stato, di cui abbiamo già parlato, che bisogna assolutamente scongiurare.

Renzi si ponga alla guida di un vasto fronte europeo per cancellare o sospendere il Patto di stabilità che ha di fatto ucciso il Trattato di Maastricht. Così da consentire a tutte le banche centrali dei paesi dell'euro, in caso di circostanze eccezionali e di speculazione sul proprio debito sovrano, di poter usare lo stesso bazooka di Draghi, il whatever it takes che consentì di salvare l'euro nel luglio del 2012. Il tutto sempre all'interno dell'unione monetaria.

È ora di tornare all'Europa vera, solidale, illuminata, lungimirante, della crescita, vincendo così anche i populismi e gli estremisti. Ce lo chiede anche, con parole dure e accorate, il Papa. Non ne possiamo più dell'Europa opportunista, egoista di Merkel, Weidmann, Schäuble. Sì alla genialità di Maastricht, ma basta agli egemonismi e ai ricatti tedeschi.

Per questo facciamo nostre le parole del cancelliere tedesco Helmut Kohl: no alla germanizzazione dell'Europa, ma sì alla europeizzazione della Germania.

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