Cronache

Quell'intervista al carnefice che non deve scandalizzare

La Leosini ha intervistato l'ex compagno della Annibali, sfregiata con l'acido. L'Italia si spacca: "Offensivo", "No, prova di civiltà"

Quell'intervista al carnefice che non deve scandalizzare

Non scandalizza il processo mediatico permanente che inchioda persone imputate o semplicemente indagate nel ruolo di colpevoli per forza. Poi una giornalista di razza offre al condannato l'occasione di difendersi, di raccontare la sua versione, e la polemica divampa. Sul Resto del Carlino il procuratore di Pesaro stronca l'iniziativa: «Mettere un microfono davanti all'imputato Varani, con un processo ancora non definito, lo ritengo irrituale e irrispettoso dell'impegno investigativo e processuale fin qui profuso». Il Partito democratico s'inserisce nella querelle e chiede di non trasmettere l'intervista. «La correttezza della Leosini è indiscussa. La nostra richiesta è stata fatta alla luce dell'intervento della procura», è il candore di Alessia Morani, vicepresidente Pd alla Camera. Alla fine la puntata di Storie maledette va regolarmente in onda, e lo share supera il 4 percento (più dei due talk serali, Virus e Piazza Pulita). Franca Leosini porge il microfono all'uomo condannato a vent'anni di reclusione in primo e secondo grado in quanto mandante dell'aggressione a base di acido contro l'ex amante Lucia Annibali. Leosini rivolge domande circostanziate e implacabili, com'è nel suo stile. «Lei che rapporto ha con la verità?», per cominciare. Varani non ha più niente dell'avvocato bello e seduttore che un tempo girava in Porsche e si lanciava col paracadute. Sembra un uomo finito. Dal carcere di Teramo dove due anni fa ha tentato il suicidio, Varani respinge la fama di donnaiolo (Sono stato con pochissime donne'), ribadisce la propria linea difensiva («Un'idea stupida dettata dalla rabbia. L'acido doveva colpire soltanto l'auto di Lucia, non il volto»), nega di aver manomesso la bombola del gas nell'appartamento di lei («Sarei saltato in aria anche io»), cerca di ridimensionare la natura della loro relazione, mai una pizza insieme, mai al cinema, soltanto un divano rosso nello studio di lui. «Non le ho mai detto ti amo scandisce l'uomo -. Ho capito che non era amore come lo intendevo io. Non mi sono mai lasciato andare senza essere coinvolto. Lei era riuscita a farlo in precedenza, me lo ha detto e non mi piaceva». Professa invece amore eterno per Ada, la fidanzata di una storia lunga dieci anni e mai sposata («È stata la mia immaturità»), la stessa che nel 2013 gli ha dato una figlia e che Lucia aveva informato della relazione parallela. «Lei è stato condannato a vent'anni, Lucia all'ergastolo, un fine pena mai», incalza Leosini. «Spero un giorno possa perdonarmi», risponde lui. Varani tenta di difendersi. Lo spettatore può credergli oppure no. Il processo mediatico l'accusato non lo sceglie, lo subisce dal principio. E quando le accuse, vere o false che siano, diventano copione di speciali televisivi a ogni ora, trama di libri e fulcro di autentiche campagne d'opinione, si può forse negare alla persona coinvolta il diritto di difesa? L'occasione di raccontare la sua versione nel processo mediatico a senso unico, colpevolista, è un fatto di civiltà.

Non rende lui meno colpevole, ma noi tutti più innocenti.

Commenti