Cronache

Le mamme "ostaggio" dell'affido

Le mamme "ostaggio" dell'affido

Un giudice del tribunale ordinario di Viterbo ha stabilito che una bimba di tre anni fosse tolta alla mamma, che vive a Baressa in Sardegna, per essere affidata al papà, che risiede nel Lazio a Viterbo. La bigenitorialità, il diritto del bambino a beneficiare della presenza e della cura di entrambi i genitori attraverso l'affido condiviso, si sta trasformando, nelle separazioni conflittuali, in un grimaldello contro la maternità.

L'affido condiviso costituisce un ostacolo alla condivisione degli affetti perché ha sollevato le questioni dell'assegnazione della casa coniugale e dell'assegno di mantenimento. Alla mamma di Baressa non è stata destinata l'abitazione, che è rimasta al marito, e un assegno inutile, di 150 euro al mese, non le ha permesso di pagare un affitto per rimanere a Viterbo come era stato stabilito dal giudice. Costretta a tornare a casa dai genitori in Sardegna le hanno sottratto la bimba per affidarla esclusivamente al papà. Hanno scelto di garantire la paternità mentre la madre da venti giorni non vede né sente la sua bambina.

Un incubo di molte madri separate che nasce dall'ipotesi bislacca per cui la suddivisione paritaria del tempo tra i genitori è giustificata dal fatto che tutti i padri separati sono persone da tutelare per legge, mentre le madri, cospiratrici e opportuniste ottengono la casa e i soldi lasciando i mariti sul lastrico e impedendogli di veder crescere i figli. Un buon padre, che ama il figlio in modo autentico, non lo priverebbe mai della figura materna perché sa che gli infliggerebbe un enorme dolore. La lotta per l'affidamento diventa un bottino di guerra, per esercitare potere sulla moglie. Queste pari opportunità che sono tese a cancellare le differenze sessuali, negando il valore della madre, equiparata al padre, è una aberrazione falsamente progressista e inumana. È una subcultura che apre le porte all'utero in affitto per rendere possibile la genitorialità alle coppie dello stesso sesso.

Quel che conta non è più la natura della procreazione ma una cultura che mette al centro un progetto di famiglia che prescinde dai ruoli. La madre non è più necessaria perché il figlio è di chi mette in atto una pratica per ottenerlo, anche se questo vuol dire ordinarlo a una fattrice, pagarlo e prelevarlo appena esce dall'utero della donna che lo ha partorito e non lo allatterà.

E a Pescara, Yari ed Alessandro sono stati uniti civilmente da un consigliere comunale e attendono impazienti una bimba che arriverà dalla California grazie alla connivenza di una «portatrice», e non di una «madre», perché una subcultura misogina ha destinato alla neonata due papà.

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