Politica

Il Regno non è più unito, ora rischia la secessione

La Scozia ipotizza un referendum per chiedere l'indipendenza. E l'Irlanda pensa a unirsi

Il Regno non è più unito, ora rischia la secessione

Londra - È deflagrata come una bomba, alle prime ore del giorno. Inattesa e devastante. Gli effetti sui mercati si sono visti subito. Così come sugli umori dei governanti di Bruxelles, indispettiti come non mai. I primi a sapere che l'effetto domino da venerdì è una spada di Damocle sul futuro, sempre più fragile, dell'Unione Europea. Ma l'impatto che la Brexit potrà avere sull'unità del Regno Unito rischia di essere altrettante devastante. Non erano trascorse neppure due ore dalla proclamazione del clamoroso divorzio che da nord del Vallo di Adriano già arrivavano le prime dichiarazioni d'orgoglio indipendentista. Più che annunci, avvertimenti minacciosi indirizzati alla nuova classe politica di Londra. «Noi vogliamo restare in Europa - l'appello dell'ex Primo ministro Alex Salmond -, anche se questo non significa che vogliamo adottare l'euro». Fuori dall'eurozona, ma con accesso diretto al mercato unico. Esattamente come è stato fino a giovedì, Edimburgo non vuole cambiare. Sono i numeri a confermare la volontà scozzese, quel filotto di vittorie per il fronte «Remain» in tutte 32 le circoscrizioni della regione (68% di preferenze complessive). Un voto netto, anche se diluito da un'affluenza leggermente inferiore rispetto alla media nazionale. Colpa di un dibattito che da quelle parti è mancato a causa dell'omogeneità indistinguibile dei partiti compatti contro la Brexit, a cominciare dai nazionalisti scozzesi. Maggioranza a Holyrood (il parlamento scozzese), alla guida della regione con la leader Nicola Sturgeon. All'indomani della sconfitta nel referendum per l'indipendenza, il 18 settembre 2014, commentando l'avvicendamento con Salmond, il primo ministro aveva escluso un nuovo ricorso alle urne. La secessione non era più una priorità per la Scozia. Oggi, un nuovo referendum per l'indipendenza «è sul tavolo, perché c'è stato un cambiamento significativo nelle circostanze». Preoccupata di «trovare qualche meccanismo per preservare il rapporto con Bruxelles, Sturgeon ha già fissato anche un orizzonte temporale per il nuovo appuntamento referendario: 2 anni. Il tempo necessario a Londra per ridefinire i rapporti con l'Unione. Quando lo strappo si sarà consumato, gli scozzesi cercheranno di mettervi una pezza, costringendo il successore di Cameron a concedere un'altra consultazione popolare. Perché- aggiunge la premier, «la Scozia ha consegnato un voto chiaro, senza equivoci, per la permanenza nella Ue». Così come l'Irlanda del Nord (56% per i pro-Europa), non a caso in esplicita controtendenza rispetto ad Inghilterra e Galles (pro-Brexit). In queste ore anche a Belfast regnano timori e malumori. Preoccupa il possibile ripristino delle frontiere tra nord e sud dell'isola dello Shamrock, abolito dall'intesa del Venerdì Santo che nel 1998 pose fine a decenni di guerra civile. A chiedere un referendum per l'unificazione irlandese è lo Sinn Fein, il partito repubblicano.

Secondo alcuni analisti sarà proprio l'Irlanda del Nord a subire più duramente i contraccolpi economici di questo voto: ripudiare Londra per riabbracciare Dublino.

Commenti