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Renzi adesso teme di sparire ma una volta si sentiva eterno

L'ex premier vede nero: «Non so se ritornerò a Palazzo Chigi». Solo un anno fa era sicuro di starci fino al 2023

Renzi adesso teme di sparire ma una volta si sentiva eterno

«Non so se tornerò a Palazzo Chigi...». Non fosse Matteo Renzi a pronunciare questa frase, non ci sarebbe nulla di strano. Ma parliamo di un leader che solo pochi mesi fa dava praticamente per scontata (lui, come pure molti dei suoi avversari) una lunga permanenza al potere, tanto lunga da dover essere interrotta volontariamente, perché «non si può restare fino a 80 anni, bisogna fare come negli Usa, due mandati e poi vai a fare altro» disse sempre Renzi, chiarendo che non si sarebbe incollato alla poltrona malgrado la vittoria già in tasca alle successive elezioni per mancanza di competitor all'altezza («Renzi non ha avversari» era l'analisi condivisa della situazione).

Invece l'altro giorno l'ex premier predestinato ad un decennio (almeno) di onnipotenza, si è presentato come un leader non più sicuro di vincere, precocemente indebolito dopo essere stato considerato imbattibile. «Non so se tornerò a Palazzo Chigi, ma so che i miei mille giorni per un 39enne senza padrini nè padroni dimostrano che tutto è possibile, che tutto si può fare: bisogna crederci e non lasciare il futuro a chi si lamenta» ha spiegato Renzi a Marsala ultima tappa del suo tour elettorale in Sicilia, in vista di un'elezione molto complicata per il Pd. Addirittura, in sala si è materializzata la parola «tramonto», impensabile accostamento a Renzi solo poco tempo fa. «Tramonto? Macché, non è vero, noi siamo l'alba» la risposta di Renzi.

Ma siamo passati al regno del possibile, non più alle certezze. Per misurare la profondità della mutazione in così poco tempo basta confrontare poche frasi. Solo un annetto fa nessuno faceva una piega di fronte all'affermazione di sicurezza al limite dell'arroganza: «Io conto di arrivare al massimo a febbraio 2023. Dopo sarò libero cittadino, io devo cambiare il Paese e non un ufficio» spiegò Renzi. Al massimo fino al 2023, ma dopo il secondo mandato basta, perchè «bisogna recuperare la regola dei due mandati, una volta in Italia si cominciava a fare politica a 20 e si finiva a 80», invece «il modello deve essere quello degli Usa: fai due mandati e poi vai a fare altro, io a 48 andrò a fare altro». Ma per scelta, ovvio. Ancora più siderale la distanza con il Renzi dei primi giorni di governo, al massimo della popolarità, quando viaggiava sul 60% di consenso personale. La scorta? Macché: «Guardate, a me la scorta non mi garba, non la voglio, grazie. La mia scorta è la gente». Ora è difficile che, quando si presenta in pubblico, la «gente» non lo contesti. Il suo blog, lanciato in pompa magna come «il luogo dove camminare verso il futuro. Insieme, in tanti», è ormai prossimo alla rottamazione, l'ultimo post è del 10 luglio, pochi i commenti.

Non che tra i compagni del Pd il clima sia migliore. Dopo le primarie stravinte senza avere contro i big, ma nel partito si punta ad un'alternativa. Gentiloni è la carta neppure segreta che la fronda piddina vuole giocarsi per mandare in panchina Renzi. E poi c'è il fenomeno Minniti: i sondaggi dicono che il ministro dell'Interno, grazie alla linea dura sull'immigrazione, supera di dieci punti Renzi nel gradimento (rilevazione Ipr Marketing). «Il futuro prima o poi torna» è stato lo slogan di Renzi.

Per lui, basterebbe tornasse anche solo un po' di passato.

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