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Renzi apre il "Firma Day", ma la minoranza non è con lui

Bersani al premier: "Se perde il referendum, non deve dimettersi". Ma lui: "Anche Berlinguer parlava di monocameralismo"

Renzi apre il "Firma Day", ma la minoranza non è con lui

“Se lo vinciamo, l'Italia diventerà un paese più stabile. Se lo perdiamo, vado a casa. Per serietà. Non resto aggrappato alla poltrona. Questa è personalizzazione? No. Questa è serietà". Matteo Renzi ribadisce, con un’intervista a L’Eco di Bergamo, che il suo futuro politico è legato alla vittoria del sì al referendum costituzionale di ottobre.

È proprio da Bergamo che il premier, lanciando ufficialmente la campagna per il sì, ricorda:"La sinistra è stata sempre per superare il bicameralismo. Enrico Berlinguer parlava direttamente di monocameralismo". Ma, ora, la sinistra del suo partito non è intenzionata a seguirlo incondizionatamente, anzi il primo a mettere paletti è Pier Luigi Bersani. L’ex segretario del Pd, dalle colonne de La Stampa, chiarisce il suo pensiero: “Voto sì se non si cambiano le carte in tavola. Non voglio che si usi la Costituzione per dividere un paese, per affermare supremazie personali o nuovi percorsi politici o per selezionare classi dirigenti”. E aggiunge che, in caso di sconfitta, il premier non dovrebbe dimettersi. "Trovo improprio che ci sia questo legame tra governo e Costituzione. Ma che precedenti stiamo costruendo? Diamo in mano la Costituzione al primo governo che passa?”, si chiede Bersani per il quale "un voto sulla Costituzione non può essere né un referendum sul governo né il laboratorio di un nuovo partito", magari con Verdini.

È evidente che dentro il Pd c’è un clima da “separati in casa” dato che, come sottolinea l’Huffington Post, al “Firma day” la minoranza non ci sarà. Renzi, come abbiamo detto sarà a Bergamo, mentre la Boschi a Reggio Emilia, mentre Bersani e l’ex capogruppo alla Camera Roberto Speranza concentreranno le loro forza per la campagna elettorale delle amministrative di giugno. “È sbagliato sovrapporre le due cose”, dice Speranza all’Huffington Post, “nuoce ai candidati sindaci del Pd che ai ballottaggi dovranno anche porsi il problema di raccogliere qualche voto da quei partiti schierati sul no al referendum costituzionale: Sel per dire, che in molte città è anche alleata del Pd alle comunali”. Una cosa alla volta, è la filosofia adottata finora dalla minoranza dem, mentre i renziani pensano che sia un modo per avere mani libere in vista del referendum di ottobre.

Secondo Gianni Cuperlo“è la maggioranza Dem che vuole trasformare il referendum costituzionale nel congresso del Pd e questo potrebbe portare a votare no anche se si è detto sì alle riforme in Parlamento”. “Il referendum di ottobre è concepito nei fatti dalla maggioranza come il congresso del Pd", continua Cuperlo con un post su Facebook, ma "se si trasforma il referendum sulla costituzione nello spartiacque per una nuova maggioranza politica che si candiderà a guidare il paese dopo le elezioni, cambia la natura del Pd e la ragione stessa per cui è nato. In quella logica il referendum sarebbe nelle cose il congresso e non ci si troverebbe tutti sullo stesso convoglio. Da mesi chiedo una chiarezza su questo punto". In sintesi Renzi è sicuro che alle amministrative potrà colmare il vuoto a sinistra con i voti dei verdiniani, o perlomeno questo è il sospetto della minoranza.

Da qui nasce la ‘tregua armata’ dentro il Pd con i renziani tenuti al silenzio dal premier.

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