Politica

Renzi archivia il Regno Unito ma teme il suo referendum

Il premier: a Londra partita chiusa. Ma è preoccupato dai sondaggi sul ddl Boschi: il No è avanti al 54%

Gian Maria De Francesco

Roma Non tutte le Brexit vengono per nuocere. Almeno per Matteo Renzi. Il presidente del Consiglio può infatti distogliere l'attenzione mediatica dalle beghe interne, come la batosta delle Comunali, e proporsi all'opinione pubblica in versione statista. Al faccia a faccia di sabato con François Hollande segue l'incontro odierno a Berlino con la cancelliera Angela Merkel e il presidente francese, domani si vola a Bruxelles. La crisi britannica gli ha spalancato le porte dell'incontro ristretto nel quale Francia e Germania decidono a tavolino gli esiti dei dossier politici comunitari. Quel tavolo ora traballa e il sostegno è stato individuato nel premier italiano.

Di questo rinnovato interesse europeo per il nostro Paese il primo ministro si è tuttavia vantato al Tg1 di ieri sera sostenendo che «è un segnale importante il fatto che abbiano chiamato l'Italia in cabina di regia» e che le trattative per l'uscita di Londra saranno rapide. In una lunga lettera inviata ieri al Sole 24 Ore aveva, inoltre, ribadito i principi cardine dell'«europeismo alla fiorentina». In buona sostanza, Renzi ha ripetuto che «le politiche di austerity hanno spinto alla paura: tenere i conti in ordine è un dovere ma senza crescita non c'è lavoro, senza flessibilità non c'è comunità». Il discorso sembra altissimo anche se, in realtà, la ricetta italiana è sempre la medesima: fare spesa in deficit perché altrimenti le opposizioni si porteranno via l'unico sostegno sicuro di Merkel. Ovviamente Renzi non poteva non ricordare che «l'Italia è tornata» perché «le riforme ci hanno consegnato stabilità» e «il passaggio referendario è lo spartiacque tra la governabilità e l'incertezza permanente».

Renzi mescola spesso le questioni internazionali con la politica interna per raccontare una storia diversa dalla realtà. Dopo la Brexit, infatti, anche la Renxit è più vicina. Il primo sondaggio sul referendum di ottobre effettuato dopo la consultazione britannica, pubblicato ieri dall'Huffington Post, ha evidenziato come il fronte del «No» abbia ampliato i consensi al 54%. Certo, più un elettore su due (52%) non ha ancora deciso se parteciperà al referendum, ma il trend è molto negativo. «Non c'è alcun nesso, la partita della Brexit è chiusa», ha minimizzato Renzi.

Le possibili imboscate, però, sono molte. La minoranza del Pd lo aspetta venerdì al varco per capire se potrà «barattare» il sostegno alla campagna del «sì» con una modifica dell'Italicum o, almeno, con qualche posto al vertice del partito. Il premier, inoltre, deve sperare che stamattina i mercati non siano infausti: le prime a farne le spese potrebbero essere le banche italiane che soffrono dal punto di vista della patrimonializzazione. «Escludo rischi, ma il governo e le istituzioni europee sono pronti a intervenire», ha aggiunto Renzi. Oggi come ieri, però, l'Europa potrebbe bloccare gli aiuti di Stato e consegnare Piazza Affari al caos. Magari la Brexit renderà la Commissione più flessibile, ma non è detto che sia così.

Intanto, Davide Serra, numero uno del Fondo Algebris e grande sponsor di Renzi, semina ottimismo. L'uscita della Gran Bretagna dall'Ue «potrebbe essere un'occasione e Milano potrebbe trasformarsi in una nuova Londra», ha dichiarato all'Intervista su SkyTg24. La speranza è che l'Italia riesca a intercettare gli investimenti che defluiranno dalla Gran Bretagna, ma per rimpiazzare Londra serve una struttura finanziaria e fiscale molto più solida.

Le riforme, in questo caso, contano zero.

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