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Renzi "bombarda" Gentiloni per sventare il voto a maggio

Il segretario Pd vuole le urne prima possibile. Pesano le regionali in Sicilia, la fronda interna e il Cavaliere

Renzi "bombarda" Gentiloni per sventare il voto a maggio

Ci aveva provato con insistenza nei giorni che hanno seguito la débâcle referendaria dello scoroso 4 dicembre puntando tutto sulle elezioni a giugno, con tanta ostinazione che in quelle settimane al Quirinale non riuscivano a nascondere l'imbarazzo. Poi è tornato alla carica a fine maggio dopo il G7 di Taormina, nella speranza di riuscire ad andare alle urne tra settembre e ottobre. E ora, per la terza volta in nove mesi, pare che Matteo Renzi stia nuovamente spingendo con insistenza sulla necessità di far saltare il banco e mandare a casa il governo. Questa volta non per ottenere elezioni anticipate, quanto per evitare che si possa stirare al massimo la legislatura, allungandosi fino all'ultimo giorno utile, magari posticipando il voto fino a maggio del 2018.

In verità, ci sono una serie di ragioni per le quali l'ex premier è convinto che Paolo Gentiloni non debba arrivare a fine corsa. Con un'accortezza rispetto ai due precedenti tentativi di spallata morbida: in quelle occasioni, infatti, Renzi veicolava sui media ricostruzioni che lo volevano a seconda dei giorni più o meno incline al voto anticipato, mentre oggi ha cambiato rotta e sul tema si mantiene molto più prudente, limitandosi in privato a puntare il dito su un Gentiloni che definisce senza mezze misure «inadeguato», «esitante» e «senza una posizione autonoma su nulla». I due, d'altra parte, sono divisi da un muro, visto che entrambi sperano di tornare a Palazzo Chigi al prossimo giro. Ci sta, dunque, che il rapporto sia ormai logorato. Se Renzi è deciso a «non farsi impaludare» dal suo successore, Gentiloni con il passo del fondista fa il possibile per dribblare i tanti ostacoli che l'ex premier mette sulla sua strada. È accaduto sullo Ius soli e più recentemente su Fincantieri, con il segretario del Pd che è arrivato a difendere il presidente francese Emmanuel Macron piuttosto che sostenere Gentiloni. Che, peraltro, nonostante il suo approccio felpato, registra sondaggi favorevoli sul suo gradimento. Uno show down, insomma, potrebbe contribuire a ridimensionarlo e, chissà, magari ad impedire che sia il suo governo a traghettare il Paese al voto. Occhi puntati, dunque, sul ritorno in aula dello Ius soli dopo l'estate (Renzi sta spingendo in questo senso) e sulla manovra di ottobre, visto che l'ex premier potrebbe mettersi di traverso su eventuali concessioni di Gentiloni a Mdp.

Ma tra le questioni calde c'è anche il nodo Sicilia. Difficilmente il Pd vincerà le regionali nonostante il governatore uscente sia il dem Rosario Crocetta. Anzi, il rischio è che arrivi addirittura terzo, alle spalle di M5s e centrodestra. Una batosta simile ridimensionerebbe inevitabilmente Renzi e la sua segreteria proprio a pochi mesi dalle liste elettorali. Senza contare altro problema a cui l'ex premier guarda con preoccupazione che un risultato simile potrebbe condizionare la trattativa sulla legge elettorale, dando più forza a chi sostiene la necessità di introdurre il premio di coalizione.

E qui si torna alla necessità di non «stirare» la legislatura che ufficialmente si chiuderà il 15 marzo 2018 (cinque anni esatti dopo la prima seduta di Camera e Senato). Le elezioni stando alla Costituzione possono avere luogo «entro 70 giorni» da quella data, quindi finanche il 24 maggio. Difficilmente si andrà così avanti, perché quasi sempre si vota a ridosso della fine della legislatura, ma la partita è evidentemente aperta, anche perché nello stabilire la data - come prevede la Carta - avrà un ruolo centrale il capo dello Stato. L'agenda Renzi la conosce bene e sa che nel caso di un flop in Sicilia (un'elezione che coinvolge cinque milioni di italiani) è bene che le politiche siano il più vicino possibile, così che non ci sia il tempo per le rese dei conti interne al Pd né, magari, per rimettere mano a una legge elettorale che al segretario dem va bene così com'è.

Senza contare che dopo l'8 marzo 2018 Silvio Berlusconi potrebbe superare i vincoli della legge Severino presentando ricorso in Tribunale senza attendere la Corte europea di Strasburgo e, magari, ricandidarsi.

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