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Renzi chiude i pollai tv che lo hanno portato a scalare Pd e governo

Ora che il potere lo amministra, il premier non vuole farsi scippare il potere e l'obiettivo diventa "spegnere" i talk show che potrebbero criticarlo. È questa la tv pubblica renziana?

Renzi chiude i pollai tv che lo hanno portato a scalare Pd e governo

diDa Mike Bongiorno a Karl Popper. Dalla Ruota della fortuna alla critica severa di una tv ormai troppo ansiosa, funestata da talk show ridotti a pollai e per nulla servizio pubblico. Chi l'avrebbe mai detto che il giro sarebbe stato così breve. Eppure a Matteo Renzi - che in tv esordì nel 1994 ospite dello storico quiz televisivo di Canale 5 e che sul piccolo schermo ha poi costruito la sua fortunata e repentina carriera politica - ora la televisione non piace più.

Lo aveva detto chiaro e tondo un mesetto fa, quando intervenendo alla prestigiosa università Humboldt di Berlino definì i talk italiani «il grande pollaio senza anima che ha preso il posto delle fiction , pieni di colpi di scena dove non succede mai niente e con teatranti di terzo ordine». Un concetto su cui il premier sta insistendo molto in queste ore in cui si stanno decidendo i nuovi assetti della Rai, tanto che il messaggio veicolato da Palazzo Chigi è quello di un Renzi deciso a caldeggiare una tv pubblica che sia più educativa e responsabile. Quasi a lasciare intendere che della solita lottizzazione che accompagna l'elezione di ogni nuovo Cda della Rai il premier non se ne sia affatto occupato, impegnato invece su fronti ben più nobili. Una posizione davvero curiosa, soprattutto se a sostenere una linea neopopperiana - memorabile del filosofo austriaco il saggio Cattiva maestra televisione - è uno che sulla tv ha costruito tutto quello che è oggi. E non tanto per i 48 milioni di vecchie lire portati a casa a soli 19 anni con la partecipazione alla Ruota della fortuna , quanto perché la sua fulminante ascesa politica è dovuta anche e soprattutto al piccolo schermo. Alla capacità con cui Renzi sa comunicare in tv e all'insistenza con cui - ancora presidente della provincia di Firenze - spingeva per portare a casa una comparsata dovunque fosse. Anche prima della scalata al Pd, infatti, Matteo era ben consapevole della potenza del mezzo, al punto da presentarsi da Maria De Filippi ad Amici con tanto di chiodo alla Fonzie. Era il marzo del 2013, Renzi era ancora sindaco e alle primarie che gli avrebbero consegnato la segreteria del Pd mancavano diversi mesi. Da quel momento è un crescendo, con Matteo che saltella da un canale all'altro, di tg in talk show . Inarrestabile. Al punto che l'argomento diventa materia di studio. La Geca Italia, società d'indagine sulla comunicazione audiovisiva, monitora la presenza sul piccolo schermo di Renzi tra il 17 e il 31 marzo del 2014. Due settimane in cui il premier galoppa al ritmo di 292 minuti e 30 secondi ogni santo giorno. Sono 4 ore e 52 minuti. Un record inavvicinabile, che serve a consolidare la sua posizione a Palazzo Chigi in vista dell'imminente campagna elettorale per le Europee.

Poi la frenata. L'economia ristagna, l'agenda del governo è in pieno stallo, i numeri in Senato ballano e lo storytelling renziano non fa più breccia come prima. Fioccano le critiche e pure qualche contestazione in strada. Così Renzi scopre che quegli stessi talk show che hanno fatto la sua fortuna sono dei pollai pieni di «trame», «finti scoop» e «balle spaziali» (così in un tweet di qualche mese fa). In tv decide di farsi vedere meno, al punto che l'ultima rilevazione dettagliata di Geca Italia per l'Agcom attesta la presenza giornaliera di Renzi intorno alle due ore al giorno (120 ore e 6 minuti tra il 1 gennaio e il 25 febbraio di quest'anno). Sempre tante, ma i tempi d'oro sono ormai lontani.

Perché la tv «va cambiata», dice lui. O perché adesso non gli fa più comodo?

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