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Renzi, dimissioni lampo e larghe intese per sfidare i frondisti Pd

Oggi apre il congresso per riprendersi il partito. Voto più lontano e ipotesi accordo con Forza Italia

Renzi, dimissioni lampo e larghe intese per sfidare i frondisti Pd

Bei tempi, quelli in cui il minculpop di Matteo Renzi poteva e sapeva disporre a proprio piacimento del coro dei media, imbeccate comprese. Segno della crisi anche questo, se vogliamo.

Ma soprattutto sintomo di una babele scappata di mano, che non gravita più sul segretario del Pd, ma che spira vorticosamente tra le correnti del Nazareno. Al punto che la marea montante di «voci» degli ultimi giorni si traduceva ieri in un corto circuito del casino. «Ancora una volta diversi quotidiani attribuiscono al segretario del Pd dichiarazioni e virgolettati che non ha mai fatto, né reso ai giornali. Virgolettati, dunque, che sono smentiti. Com'è noto, Renzi interverrà e parlerà domani (oggi, ndr) nella Direzione del Pd», precisava la nota del Pd. Amen.

Scocca così, con l'azzeramento della chiacchiera in libertà, l'ora fatale della piccola storia del Pd. Partito mai partito, nato sbagliato, ora sfibrato dall'assenza di linea e dalle lotte per il potere. Forse addirittura e finalmente vicino all'esito finale: si tratti dell'onesta dissoluzione o di una più ipocrita transumanza nel gregge voluto da Renzi. Anche per il piccolo leader di Rignano sarebbe giunto il momento della verità: annunciare le dimissioni, rimettersi in gioco, come più volte promesso. Lo farà, probabilmente, ma solo come sfida per dimostrarsi ancora in sella, in virtù della solita gara col trucco: il congresso-lampo o «con rito abbreviato», secondo la felice espressione di Michele Emiliano. Il leader si accinge perciò ad accantonare la folle corsa alle elezioni nella quale ha ormai tutti contro, almeno mediaticamente. Anche perché sa benissimo che, con tutti i sistemi elettorali che si possono realisticamente immaginare, l'unica maggioranza possibile per lui dopo le elezioni sarebbe quella con Berlusconi (alla quale, in un'intervista al Corsera, non disse neppure di no, anche se cambierebbe nettamente il suo profilo). Davanti alla Direzione nazionale alla quale ha voluto partecipassero anche i parlamentari, si limiterà perciò a spronare i gruppi a fare presto una legge elettorale (meglio col premio al partito), rivendicando ancora una volta in pompa magna i risultati del suo governo. Con un'incredibile forzatura, inviterà a parlare il ministro Padoan in qualità di testimone su conti in ordine e su una manovra senza tasse. Così mettendo il cappello sul governo Gentiloni, assorbendolo ancor di più nella propria leadership e riducendolo, insomma, da fotocopia a cartavelina. Guai e rimbrotti, invece, saranno tutti per i suoi avversari interni, accusati di «tentato logoramento». Concetti anticipati dal «vice» Guerini, che lamentava ieri il superamento del «livello di guardia». Nyet a «una segreteria di garanzia», cioè allo strumento neutro di tutela della minoranza (i congressi, nelle mani dei leader in carica, sono «poker col morto», ossia con la minoranza sconfitta in partenza: per il regolamento che si vara, per la gestione dei numeri nei circoli). Dunque, chiariva Guerini, «se si anticipa il congresso lo si anticipa davvero, senza formule fantasiose, ma con le procedure esistenti, punto». Un vero aut aut alla minoranza: rinvio delle elezioni contro dimissioni e congresso. Se i bersaniani (parte dei quali ieri era riunita a Firenze) sembrano ancora imballati, l'asse Orlando-Emiliano continua a fare davvero paura ai renziani: prova ne siano i violenti attacchi di ieri (Romano, Fiano, Esposito, Marcucci). Fuoco di copertura per intimorire la discesa in campo del Guardasigilli, pupillo di Napolitano, e consentire all'Anatra zoppa di tornare a volare alto.

Eppure, si sa, è proprio quello il momento in cui viene accoppata.

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