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Renzi lancia Gentiloni sul ring Il Colle frena: così si brucia

Il segretario lo vorrebbe protagonista della campagna elettorale. I timori di Mattarella. Grasso moroso col Pd

Renzi lancia Gentiloni sul ring Il Colle frena: così si brucia

La campagna elettorale è ufficialmente aperta, e il Pd ha già pronto il suo schema a due punte: la «forza tranquilla» del Gentiloni di governo e l'energia di Matteo Renzi nel ruolo di attaccante.

Il segretario del Pd descrive così il campo da gioco: «Da un lato ci sono le promesse mirabolanti di Berlusconi e Salvini, il tandem dello spread e del populismo. Dall'altro Di Maio e Grillo, che vogliono referendum su euro e vaccini, promettendo assistenzialismo e sussidi. E poi ci siamo noi. Che in questi anni abbiamo lavorato tanto e sbagliato qualcosa ma che siamo una squadra credibile e affidabile». Fuori, l'arbitro Mattarella osserva l'inizio della partita con una preoccupazione in più, quella di tenere il premier al riparo dallo scontro elettorale più acceso, perché il dopo-voto si preannuncia assai instabile.

Ora nel Pd si aprirà anche la guerriglia delle candidature: la minoranza di Andrea Orlando reclama più spazio, chiede «scelte condivise» e invoca una riunione della Direzione per «definire l'impostazione della campagna elettorale» e - sottinteso - le liste.

Intanto, scoppia il caso Grasso. Il presidente del Senato ormai sciolto, che ora è leader del partitino dalemiano, risulta moroso per diverse centinaia di migliaia di euro nei confronti del Pd, che lo ha eletto e spedito sullo scranno più alto di Palazzo Madama. Come tutti gli eletti dem, si era impegnato a versare una quota mensile del suo (assai lauto, anzi come si è scoperto ben più lauto persino di quello del presidente della Repubblica) stipendio al partito. Ma poi si è ben guardato dal farlo, accumulando un debito di oltre 83mila euro. Settimane fa, quando i dirigenti Pd gli hanno ricordato l'impegno non mantenuto, Grasso si è limitato a rispondere con una sardonica risatina. Ieri il tesoriere Francesco Bonifazi è tornato alla carica con una lettera aperta su Repubblica: «È cosa spiacevole dovere insistere scrive ma sono tante le ragioni che dovrebbero spingerti a onorare questo impegno: non esiste nessun motivo giuridico, politico o di opportunità per non pagare». La somma è ingente, ma non tale da mandare in rovina il presidente uscente del Senato che, ricorda perfidamente Bonifazi, «non ha neanche il problema del tetto di 240mila euro». Come ha infatti scoperto Libero, spulciando le dichiarazioni dei redditi, Grasso - unico tra i vertici dello Stato - ha evitato di applicare a se stesso la regola, che tutti gli altri si sono dati, di non prendere più dei 240mila euro fissati come tetto agli stipendi della dirigenza pubblica da una legge del governo Renzi. Così, mentre Mattarella è rimasto sotto la soglia prevista e la Boldrini ne ha incassati 140mila nel 2016, Grasso svetta orgogliosamente a 320mila euro nello stesso anno, e 340mila l'anno prima.

Nel 2013 Grasso aveva solennemente annunciato: «Non solo mi sono dimezzato lo stipendio, ma ho anche deciso di rinunciare all'appartamento del Senato». Lo stipendio - e solo il suo - è invece rimasto intatto, e lui ha continuato serenamente ad abitare con la moglie e a ricevere gli amici nel prestigioso appartamento presidenziale: «Ragioni di sicurezza», ha provato a giustificarsi. E dire che il neo-leader di Liberi e Uguali ha lasciato il Pd - con annesso debito di 83mila euro - in nome dei «veri valori della sinistra» nonché della «difesa dei lavoratori». I dipendenti del Pd sono in cassa integrazione, gli ricorda Bonifazi.

La risposta di Grasso: «No comment».

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