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Renzi prepara il rientro e punta al Nazareno bis per arginare i frondisti

Intervista a Repubblica e nuova segreteria Legge elettorale, pronto all'asse con Berlusconi

Renzi prepara il rientro e punta al Nazareno bis per arginare i frondisti

Una visita al premier Paolo Gentiloni (che già oggi verrà dimesso dal Policlinico Gemelli e presiederà un Consiglio dei ministri), una serie di incontri con dirigenti Pd al Nazareno e di telefonate a vari interlocutori politici.

Matteo Renzi è tornato ieri a Roma, per preparare il rientro ufficiale sulla scena politica. Nuova squadra al Nazareno per rimettere in moto il Pd (se ne discuterà la prossima settimana), un'intervistona con l'ex direttore di Repubblica Ezio Mauro sui destini della sinistra con cui domani romperà il lungo silenzio, appuntamenti nazionali da organizzare: il 21 gennaio l'assemblea nazionale dei circoli Pd a Roma, il 27 quella degli amministratori locali a Rimini. Ma la data che resta al centro dei pensieri del leader Pd è un'altra: il 24 gennaio, giorno in cui la Corte Costituzionale deciderà sull'Italicum. È il colpo di pistola che aprirà le danze sulla legge elettorale, da cui dipende anche il destino della legislatura. Solo quando si capirà che margini la Consulta detta al Parlamento si potrà aprire la trattativa sulle nuove regole, che per il momento non esiste ancora.

Le cose chiare al momento sono due: l'inevitabile deriva verso il sistema proporzionale, dettata dalla sconfitta delle riforme nel referendum e dalle pressioni della Consulta, e l'interlocutore privilegiato con cui il leader Pd tratterà, ossia Silvio Berlusconi. «L'unica sponda realistica è quella, altre non ce ne sono», dice un renziano di prima fila. I Cinque Stelle ovviamente non vengono presi in considerazione, e neppure la Lega, che pure ha formalmente aperto al Mattarellum auspicato dal Pd, viene considerata un partner politicamente affidabile. L'idea su cui si lavora per inaugurare questa sorta di Nazareno bis è, secondo quanto spiega un dirigente Pd, «un proporzionale articolato su collegi molto piccoli e listini bloccati, con un premio di governabilità», per tenere insieme i desiderata del Cavaliere e quelli di Renzi. Il quale sa di avere un problema in casa: la minoranza Pd, ormai pronta anche ad aprire la strada ad una vittoria elettorale di Beppe Grillo pur di abbattere il proprio leader, tenterà in ogni modo di ostacolare e ritardare l'approvazione di una nuova legge elettorale, che aprirebbe la strada al voto anticipato. Con Matteo Renzi, segretario del Pd, arbitro unico della composizione delle liste. Dunque, in particolare al Senato dove i numeri del Pd sono più risicati e il potere di ricatto dei bersaniani più forte, serve un patto forte con Berlusconi per garantirsi l'approvazione delle nuove regole elettorali.

Resta però una divergenza di fondo tra Pd renziano e Forza Italia: quella sui tempi del voto. Renzi lo vorrebbe ad aprile o, al massimo, a giugno. Il Cavaliere invece eviterebbe volentieri il voto anticipato. E sa di poter contare su una larghissima resistenza trasversale alle elezioni, che include il Quirinale e attraversa tutti i partiti, compresi i grillini e una larga fetta del Pd, e non solo della minoranza. «In Parlamento nessuno vuole andare a votare prima del 2018», ammetteva giorni fa il senatore Pd Nicola Latorre. Non è un caso, ad esempio, se il ministro Dario Franceschini, capo di una corrente di peso che fa parte della maggioranza del partito, ha ricominciato ad incontrarsi e parlare con Massimo D'Alema, dal giorno successivo al referendum.

Ma persino tra i renziani più lealisti ci si interroga: «Conviene davvero il voto subito, col rischio di consegnare il paese al populismo grillino?».

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