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Renzi sbianchetta Prodi: l'avversario è il centrodestra

Il segretario snobba il Professore, liquida il M5s e attacca i «traditori»: il voto sarà un corpo a corpo con Berlusconi

Renzi sbianchetta Prodi: l'avversario è il centrodestra

Più di mezz'ora di parole per celebrare il Pd, per prendersela con i «traditori», per incoronare il centrodestra come avversario e per scordarsi di Romano Prodi. Nel suo lungo intervento sul palco del teatro Eliseo, dove si festeggia il decennale del partito in un evento dove spiccano soprattutto gli assenti, Matteo Renzi non spende nemmeno una parola per il Professore bolognese, evocato invece dal fondatore, Veltroni, che era arrivato a definire il governo Prodi «il migliore della storia repubblicana». Renzi invece lo snobba, e forse anche per quello sfila di tasca a tutti, compreso se stesso, il certificato di proprietà del Pd. Che non è, spiega, di Veltroni, e «non appartiene nemmeno» al premier, Paolo Gentiloni, e «men che meno a me». E per Matteo ricordare che i democratici sono un patrimonio comune è un modo per prendere le distanze dai Cinque Stelle, che invece «appartengono al figlio del fondatore, al nipote del fondatore e al commercialista del fondatore», mentre «la nostra - chiosa Renzi - è un'altra storia». E anche l'avversario è un altro, appunto, perché - insiste il segretario, con il varo del Rosatellum «abbiamo di fronte un corpo a corpo in tutti i collegi con il centrodestra», che è il vero «avversario», e anche se non è «un nemico» Renzi parte all'attacco contro il «centrodestra populista», che «scommette sulla paura, che ci ha lasciato il Paese con lo spread e la più grande crisi economica del dopoguerra». E insomma «la sfida è tra centrosinistra e centrodestra», sintetizza Renzi, tagliando fuori il M5s, sul quale ironizza: «Avete visto che cosa è accaduto? Qualcuno ha sbagliato piazza a fare le proteste, ma a me preoccupano più quelli che hanno sbagliato secolo nelle proteste».

E a preoccupare Renzi, non certo da oggi, ci sono anche i malumori interni. Come la minoranza, ieri latitante, ma anche come i tanti che hanno voltato le spalle prima alla leadership del segretario e, infine, al Pd, lasciandolo per fondare nuovi movimenti a sinistra. E a loro, «a chi ha anteposto il destino personale al destino del Pd, minacciando di andarsene e poi andandosene», Renzi non le manda a dire. «Voglio dire che il Pd appartiene al suo popolo, e chi se ne va tradisce se stesso. Basta con i rancori, sentiamoci tutti a casa nostra». Anche perché, aggiunge con un pizzico di perfidia, «se non ci fossero stati i democratici la sinistra italiana sarebbe irrilevante». Poi tocca ai «geni» che «dicevano che la politica non serve, che bisognava guardare alla Spagna, dove senza politica c'era comunque un governo»: «oggi vediamo - ringhia Renzi - che la mancanza della politica produceva la frattura del tessuto sociale spagnolo e creava le condizioni del disastro catalano». Morale, per Renzi «la politica serve», e «il Pd è qui per questo». Perché per lui «solo il Partito democratico oggi ha le carte in regola per affrontare gli elettori e vincere con la politica». E sempre il Pd, insiste l'ex rottamatore, «è l'unica forza politica con tutte le sue difficoltà che può costruire una alternativa credibile per l'Europa partendo dalla supremazia della politica sulla tecnica».

Quanto alle difficoltà il peggior nemico, sospira Renzi, è «l'autoreferenzialità, il parlarci addosso, le divisioni», e dunque «dobbiamo superare questa stagione di discussione con la voglia di costruire il futuro», perché «i prossimi dieci anni - conclude da veggente l'ex premier - saranno meravigliosi». Renzi nel prossimo lustro si vedrebbe a Palazzo Chigi, ma sul palco ostenta modestia, sostenendo di non essere interessato a «chi farà il premier», bensì a «che cosa farà il premier». Distinguo accademico.

Per statuto, nel Pd, il segretario è candidato premier.

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