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Renzi scende dall’Aventino: non prendo in giro gli elettori

Domani da Fazio per dettare la linea: paletti molto rigidi nel dialogo col M5s. E l’accordo resta ancora lontano

Renzi scende dall’Aventino: non prendo in giro gli elettori

L’ invocazione «Renzi torna», lanciata via hashtag sui social da numerosi iscritti Pd smarriti per il caos nel partito e sulle trattative di governo, pare aver funzionato. Renzi torna: torna in tv, ospite di Fabio Fazio domani in prima serata. Una decisione presa tra giovedì sera e ieri mattina, e annunciata a ora di pranzo. Ieri il segretario dimissionario era a Roma, nel suo studio da ex premier al Senato, e lì ha visto o sentito quasi tutti i dirigenti dem, per trovare una via d’uscita dallo scontro interno sul dialogo con i Cinque Stelle, e per evitare che la Direzione convocata per giovedì si trasformi in una lacerante resa dei conti interna. Quel che Renzi dirà da Fazio, dunque, avrà un peso decisivo.

E non è un caso se il reggente Maurizio Martina, ieri, ha lanciato un accorato appello all’unità sulla scelta della trattativa o meno con il partito della Casaleggio: «Prego tutti di discuterne e rifletterci avendo sempre a cuore l’unità del Pd e della nostra comunità. Ragioniamoci insieme. C’è davvero bisogno di tutto il Pd». Il sottotesto è chiaro: Martina, portabandiera del sì alla trattativa, è il primo a sapere che in questa fase è impossibile andare a sedersi al tavolo coi grillini senza o contro l’ex premier, che sia negli organismi interni che in Parlamento ha i numeri per far saltare ogni dialogo. E Martina è anche colui che rischia di più, se si arrivasse ad una spaccatura interna che delegittimerebbe il suo ruolo di reggente e mediatore. In questi giorni, raccontano, ha più volte minacciato le dimissioni davanti al muro innalzato dai renziani alle sue aperture. La decisione di Renzi di parlare pubblicamente (per la prima volta dopo le elezioni del 4 marzo e le dimissioni da segretario) è una indiretta risposta all’appello di Martina e al forte pressing del Quirinale sul Pd. Ed è anche l’occasione per riprendere il timone di un Pd sbandato, tornando centrale. Renzi non farà alcuna apertura politica alle strenue avance dei grillini, che del resto ha definito «una baby gang», convinto che «un accordo fatto in questo modo sarebbe una gigantesca presa in giro degli elettori».

Ma neppure chiuderà all’ipotesi di «andare a vedere le carte» e di discutere di ciò che va fatto per l’Italia. Ponendo però delle condizioni «forti». Insomma, come sintetizzava ieri Mario Lavia sul giornale online del Pd, Democratica, dirà che i Dem sono «disponibili a discutere con tutti, ma ponendo l’asticella molto in alto, con paletti politici e programmatici comprensibili al Paese». Per dirla più rozzamente, cercherà di salvare capra e cavoli: non smentirà la linea di Martina, preparando il terreno per una Direzione senza lacerazioni se non addirittura unitaria. E al tempo stesso minerà preventivamente il terreno del confronto con i grillini, alzando di parecchio il prezzo. «Se dobbiamo aprire un confronto, non possiamo farlo da una posizione di debolezza», dice uno dei suoi, criticando implicitamente l’arrendevolezza di Martina. E precisando: «Aprirlo non significa che l’accordo poi si fa». Del resto, la goffaggine delle mosse del M5s aiuta, con Toninelli che paragona Di Maio alla Merkel e definisce irrinunciabile la sua candidatura a premier e con altri esponenti che sparano contro tutte le riforme del centrosinistra e contro Mattarella.

Se dialogo sarà, sarà in salita. E nel frattempo, la finestra per il voto a giugno si sta chiudendo

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