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Renzi senza maggioranza

Quaranta senatori Pd firmano 7 emendamenti: o cedono loro o cede il premier

Renzi senza maggioranza

Si complica lo scontro dentro il Pd sulla riforma del lavoro. Quaranta senatori Pd, con la benedizione di Bersani, hanno firmato sette emendamenti che annacquano il testo preparato dal governo e sul quale il premier si è detto fino ad oggi indisponibile a modifiche significative. Se quel testo venisse votato oggi, Renzi non avrebbe quindi la maggioranza e, di conseguenza, il governo cadrebbe con tonfo molto rumoroso. I casi sono tre. Renzi si rimangia parte della riforma, accetta gli emendamenti e la dà vinta ai suoi oppositori interni. Oppure: tiene duro e conta sull'aiuto di Forza Italia, che ha già annunciato di votare sì al suo testo. Oppure ancora: pone la fiducia e rischia il tutto per tutto, costringendo probabilmente i ribelli a fare un passo indietro per salvare seggio e stipendio.

Nel primo caso – la retromarcia del premier – si scriverebbe la parola fine sul sogno, coltivato da alcuni, che un uomo venuto dalla sinistra potesse cambiare questo Paese. Una riforma dimezzata, infatti, non sarebbe utile né ai lavoratori né alle imprese, ma solo alla sopravvivenza formale di un partito, il Pd, prigioniero del suo passato e del sindacato. Nel secondo – la linea dura e vincente del premier – si sancirebbe più che una spaccatura, probabilmente sarebbe l'innesco di una vera e propria scissione a sinistra. Senza contare che un voto decisivo di Forza Italia (cioè dell'opposizione) su un provvedimento tanto delicato, imporrebbe a tutti (Napolitano compreso) una riflessione politicamente ben più ampia sullo scollamento tra governo e maggioranza parlamentare.

In ogni caso, quindi, siamo arrivati alla prova del nove del renzismo. Non tanto per quello che potrà succedere al governo nel Parlamento (negli anni abbiamo visto tanti di quei papocchi che nulla più può sorprenderci), ma ci riferiamo a quello che potrebbe succedere a noi, cioè rimanere impantanati nell'indecisionismo e in quel «fare e non fare» che ha reso l'Italia il Paese dei gattopardi. E smacchiamolo, una volta per tutte, 'sto gattopardo.

Sperando di avere più successo di quello che un illuso Bersani ottenne con il giaguaro Berlusconi.

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